Non convince più l’idea che per esprimere opinioni venga a innestarsi un sistema a due uscite: come prima azione/reazione possibile c’è la difesa, la seconda: la polemica. Gli autori oggi, sopratutto i più giovani, imparano a identificarsi con il modello che preferiscono, il risultato è senz’altro uno svilimento dei rapporti con la cultura e con la lettura, uno svilimento delle capacità creative e dei rapporti di reciprocità e stima rispetto le istituzioni. Con questo intendo dire senza strane metafore, che resta a noi scegliere (giornalisti, lettori, autori) i libri da leggere, le letture facoltative. Ogni nuova lettura chiaramente risponde a un’esigenza, che sia la risposta a una ricerca, il tassello mancante rispetto il corollario di letture che abbiamo nelle nostre librerie, insomma il respiro che può darci un libro nuovo non è paragonabile a ciò che appartiene alla routine e alla quotidianità.
Questo perché fortunatamente esiste gran parte di un pubblico colto capace a scegliere le letture giuste, a problematizzare riletture e curatele, a trovare sempre accordi tra i riferimenti, a scegliere persino la giusta traduzione. Tutti inoltre, sogniamo un mondo dove i cattivi libri vengono bruciati in un tempo nuovo che non sia scandito da potere, sesso e denaro; purtroppo un mondo simile non esiste e lo sappiamo. I più leggono per non sorbirsi i soliti luoghi comuni, leggiamo per comprendere le novità di cui siamo risorse per noi stessi, per continuare a cadere nelle storie dei libri e imparare ancora a sbucciarsi le ginocchia come da bambini. Per vincere l’isolamento che separa il nostro io da quello degli altri, per tentare di tenere un discorso continuamente universale, su un dibattito e una riflessione sulle cose che accadono, come un continuo editoriale, dove elenchiamo punti nuovi ai progetti, prove di libertà, di desiderio, di fotografie a colori o in bianco e nero. Leggiamo per imparare a parlare il dolore, masticare i fallimenti di gioie non possibili, gustare i giorni felici, i momenti felici e le narrative scritte con successo, che sanno volere senza troppa malinconia e sanno decidere senza lasciarci il nulla pressapochista dei «via dicendo» e degli «eccetera». Finiamo per identificarci nei modelli che ci bombardano l’immaginario, fin tanto che maturi e adulti, non facciamo altro che sorridere ai personaggi positivi dei nostri romanzi, a chi suscita in noi abbandono alla vita, abbandono alla complicità, all’empatia: alla comunanza di intenti. Siamo tutti spinti poi non solo dalla lettura ma sopratutto dalla scrittura (questo per i cantautori, per i poeti, per gli scrittori) come si può evitare il brivido che segue l’ispirazione, quella scintilla, quel motore capace a destarci, a creare il dinamismo che fa parte delle nostre vite e delle nostre dinamiche di pensiero e di biografie. Insomma, umanisti e non, andiamo in cerca di libri che sappiano significare, incidere. Tra gli atteggiamenti del lettore poi troviamo quello della «proiezione», nel momento in cui ci identifichiamo ad una storia, tendiamo a proiettare su ambienti, scene, atmosfere e personaggi tutte le nostre intime verità, e i protagonisti spesso conoscono ogni nostro segreto. Segue a volte l’immedesimazione, la scusa, il deterrente. I legami di identità sottili nell’identificazione vengono persi: può avvenire a livello impercettibile, che un romanzo o un libro ci educhi, ci migliori, ci ispiri. Sembra che qui vi stia bombardando di concetti generici, certo ci sono letterature minime e letterature massime, libri minimi e libri massimi. Eppure chi decide il nostro particolare gusto nella scelta di un nuovo libro non è un media, né un social, né uno slogan pubblicitario: chi decide per noi di leggere da 0 a migliaia di pagine, potenzialmente capaci di migliorare non solo la nostra giornata ma anche forse, la nostra vita siamo noi: le nostre pulsioni, i nostri desideri. In questo non esistono libri massimi e libri minimi, esistono libri da cui prendiamo e chiediamo una educazione nuova, un vantaggio, una chiave innovativa, dinamica, preziosa. Nell’ambito delle opinioni la storia è libera, anche per questo, la mia presentazione qui non vuole essere uno slancio progressista sull’editoria e sulla letteratura ma un tentativo di parlare alla nostra forma vera, cambiando prospettiva sì ma restando autentici, sinceri, leali e fedeli a noi stessi. La capacità del lettore dei buoni romanzi sta nel momento in cui riusciamo a chiudere un libro e a sentirci capaci di nuove ricostruzioni, saldi nei nostri propositi e prospettive.
Sabatina Napolitano
in occasione della giornata mondiale del libro, 23 aprile