Quindi scegliere un libro di interesse non si tratta di un siparietto, peggio può capitare quando non solo nel nostro immaginario entriamo in empatia e intimità con un autore, vivo o morto, ma vogliamo per ogni suo libro e lavoro cercare di chiedergli come un favore, un segno. Magari davanti un thé come farei con le autrici di classici che mi hanno impressionato non poco tra cui Kristof, Ginzburg e Woolf…così sono sincera nel dire che Szymborska riesce a collocarsi autorevolmente non solo tra queste ma in generale a giudicarsi ancora il podio per lo stupore e la chiarezza delle idee e convinzioni tanto che quando mi godo una lettura così piacevole mi sembra di affidare il destino nelle mani dell’autore. Si riconosce che non dovremmo mai porre il destino nelle mani delle nostre letture, anche se alcuni autori, più di altri, sono realmente capaci a tracciare destini, come scriveva la Spaziani. Una visione può aiutarci a vedere qualcosa che non avevamo visto prima e può rendere belle le sorprese e le convinzioni che prima erano meno belle. Ogni libro come una visione quindi sconvolge se riesce in tutti i casi ad aprirti la lente dell’autore qualora questo voglia relazionarsi al pubblico concretamente; ogni libro è capace a rinvigorire il privilegio ontologico che tutti gli esseri hanno già solo per il fatto di essere venuti al mondo. Un libro buono ti aiuta a vivere meglio le prospettive: se credete che questo sia falso provate a leggerlo sul serio «Letture facoltative» di Wislawa Szymborska, edito Adelphi a cura di Luca Bernardini con traduzione di Valentina Parisi.
Perché proprio questo libro? Insomma dopotutto è un libro non difficile da trovare e il costo accessibilissimo. Prima di tutto perché le recensioni sono scritte e quindi tradotte con lo stile semplice e perspicace della Szymborska poi perché è un libro sul serio piacevole, una raccolta di diversi piccoli saggi che il Nobel del ‘96 ha scritto e lasciato durante i suoi anni di scrittura redazionale (dal 1967 al 1981) su diverse testate di quotidiani come «La vita letteraria», «Scrittura», «Oder», e «Giornale elettorale».
«E qualunque cosa accada, è come dietro la porta» così scrive Szymborska nella poesia dal titolo «Torture» e se è vero che i poeti, sopratutto quelli più amati a livello mondiale, portano un segreto, dietro alla porta questo continuamente bussa per essere ascoltato. Certo è che la tradizione letteraria italiana è profondissima e vasta e vanta nomi conosciuti a livello mondiale come Pasolini, Montale. Eppure la poesia italiana contemporanea non può disincarnare il mandato della tradizione anzi deve farsi forte del merito dei maestri. Per questa ragione l’immagine del mondo e del panorama letterario si muovono nelle agitazioni letterarie che appartengono alla nostra tradizione e critica. Tuttavia nel corso di una vita intera, la riflessione poetica e la condivisione continua di orizzonti comuni fanno sì che necessariamente il respiro di una poetica propriamente italiana si confronti con precisi rimandi alla poesia europea e mondiale. Quale triflessione, quindi produce un libro di Seamus Heaney, di Cees Nooteboom, di Vladimir Holan, oggi sullo spazio e sulla forza letteraria italiana? È impossibile replicare certo, una inappartenenza che è interiore sopratutto nel caso della poesia e della letteratura più in generale: un poeta italiano è chiaramente influenzato da un patrimonio collettivo ancora così presente e individuato. Eppure una durata esistenziale della poesia moderna non è assolutamente separata dalle letterature mondiali di tradizione condivisa. In questo senso la Szymborska ci instrada e ci mostra come poter trovare le nostre identità in un gioco così complesso di significati e formule, continuamente innovativi. La poesia contemporanea non tende ad identificare un bisogno di individualità, anzi si fa forte di appartenenze non mimetiche per sviluppare il bersaglio continuo di relazionarsi al pubblico con disincanto e chiarezza, con linearità e apertura. Questa caratteristica è propria anche della lirica femminile degli ultimi anni, anche se non esiste una forma egemone capace di dettare una soggettività e una personalità che trasformino il corso di un programma letterario che appartiene a un’intera epoca. Evidentemente non può del tutto improvvisarsi una scrittura e un talento letterario: tutti i talenti veri, e non propriamente i talenti derivanti dalla popolarità, nascono da un rapporto pacificato con la tradizione. Questo concetto Szymborska lo chiarisce, lo supera e lo dona alle meravigliose pillole di conoscenza, agli aneddoti spaesanti, ai feuilleton, alle citazioni impensabili e i riferimenti spiazzanti e spesso decontestualizzati che il lettore non fa fatica ad accettare senza bisogno di essere persuaso. Ciò che preferisco della scrittura della Szymborska è l’assenza dei sensazionalismi, questo modo di esprimersi così diretto rende le pagine pupille aperte sui proiettili della critica e dell’ignoranza, ogni articolo è una pluralità di differenze scritte con coraggio che non attingono dall’occhio innocente di chi magari nella letteratura non ha voce, ma resistono e inseguono sempre le strade dell’immaginazione letteraria e del desiderio di durata. La Szymborska recensisce, semplicemente. Eppure il suo scrivere è sociale, antropologico, civile, il giudizio sulle cose attraversa e richiama tutti gli aspetti del vivere senza scontrarsi, delinea così l’amore per la cultura, il continuo risultato dell’esperienza che si fa eco profondo. Chi legge non bada a cercare cosa sia la verità, bensì le recensioni finiscono per essere il qui e l’ora capace di consolare con equilibrio e attesa in un ritmo della scrittura pulito, fermo.
Sabatina Napolitano
(Ho diviso l’intervento “Le recensioni di Szymborska: letture di poeta e non solo” in tre parti pubblicate in tre momenti diversi per non appesantire la lettura).
