“Viaggio salvatico” è uno dei libri più degni di nota che ho letto negli ultimi anni, contando che per la maggior parte sono di autori morti. Quando pensiamo alla metafora del viaggio associamo il pensiero ad un viaggio mitico, un viaggio che definisce una poetica o che definisce il corpo. Il problema del lettore sta quindi nelle soluzioni del percepire, anche se nel mio caso, non mi resta che scrivere intorno “Viaggio salvatico” come diversi altri critici prima di me hanno fatto su riviste e siti. Ciò che ancora resiste nei secoli è la domanda a cui risponde la poesia, che non è di certo imparare a contare i giorni nel teatro dell’esistenza e nemmeno imparare i nomi delle stelle delle galassie ma consiste nel riuscire ad essere così straordinariamente eccezionale tra le arti, caratteristica evidentissima nell’entusiasmo della poesia di Gianpaolo Mastropasqua. La disciplina carica di rivelazioni, artifici lirici, genio riprende lo stesso colore dei versi, la stessa vicinanza e fierezza emotiva presentata nel lavoro di “Danzas de amor y duende” econtinuata in “Viaggio salvatico” (Fallone editore, Giugno 2018). Giuseppe Conte nella precisa e fedele prefazione al libro prende spunto da un testo per soffermarsi sulla figura di Marylin Monroe e la Norma interpretata magistralmente dalla Callas (Marylin, la stanza a Norma) anche se questo non è l’unico riferimento intricato ai testi. Per poter leggere in totalità il libro non si può prescindere dalle indicazioni che l’autore stesso ci fornisce attraverso le citazioni tra le sezioni: Da Vinci, Artaud, Tarkovskij, Fortini, Laforgue, Thomas. Personalmente trovo magistrali alcune prove poetiche soprattutto quando leggiamo pagine molto diverse dalle Danzas dove il “tu” archetipico e “benedetto” sembra unirsi e collaborare con l”io” del poeta, anche qui la storia assume connotazione umana e metafisica insieme come leggiamo in “ascensore piano Terra”. Le poesie hanno nel corso della narrazione un tempo enfatico e profetico. La scelta di questo nuovo modulo narrativo è molto probabilmente correlata al desiderio di protezione, di scioglimento che l’altro considera nella connessione col niente e col tutto delle cose: ogni sensibile venatura come specchio del poeta che qui è uomo, più maturo, meno spensierato e giovane.
La sensazione è che tutte le volte che ricerchiamo nelle poesie il gusto non velato della dedica passionale, viene subito a performarsi l’io con l’istinto dei poeti negativi: questo produce non un distacco dalla realtà ma una partecipazione conscia e comunitaria. Qui “la vita è un libro dalle pagine strappate” ancora “vita stai ferma e sorseggia la vita” questo incantamento è inevitabile ad ogni poeta che esca dalla pura costruzione soggettiva per scontrarsi con la vera possibilità della divinità dell’io per ripiegarsi nella condizione umana che in Mastropasqua non è impotente.
Si sa che Mastropasqua raggiunge la poesia con la delicatezza della musica, per questo metafora e allegoria sono ereditiere di una definizione assoluta e totale di libertà artistica, di paradiso del quotidiano dove si trova non solo una passione senza limite per la scienza e la tecnica coltivata negli anni, ma anche e soprattutto la lente per stare e trovarsi a fondo dentro le cose. Forse anche per questo la poesia di Mastropasqua non ha contraddizioni: rispondere alle contrarietà del mistero con un cammino segnato da più strumenti allude ad un “sì” cosciente, che non trova posto in una contraddizione, che capita invece nell’allegria. Se da un lato ci si può ricondurre nelle prime poesie di Mastropasqua alla tensione del poeta visto quasi come “genio mistico”, dall’altro ci resta capire che ogni viaggio intrapreso e concluso è un viaggio perso ed ogni viaggio ancora da fare è un viaggio da conquistare come ci siamo trovati già a dire con Geografie Minime di Maria Pia Romano. Anche in questo caso le poesie non sono solo poesie d’amore e di frontiera, ma le pagine realizzano un libro che non si chiude nei confini, che ha anzi l’impronta fortemente europeista accennata e sottolineata con Danzas continuata in Viaggio salvatico; le parole qui hanno perso lo slancio giovanile e hanno acquistato il fascino della maturazione poetica. Il mondo ha spirito critico, conferma un punto di vista continuamente analitico: alle volte sembra quasi essere portato al parossismo “dunque si cade terra o fanciulla/ nel colabrodo degli anni trascorsi/ nei viali dell’abbandono troppo grandi”. I canti di Mastropasqua sono componimenti epifanici e difficili, per questo però anche vittoriosi. Il poeta si impegna non in un disaccordo delle argomentazioni, bensì riesce a difendere perfettamente le diverse inclinazioni e carismi, la poesia è solida, nobile, a tratti solenne e sovrannaturale. Questo perché è evidente che la poesia di Mastropasqua riesce ad attribuire alla vocazione il giusto ruolo che ha assunto per gli autori nei secoli, riesce a non schiacciare il poeta sotto l’obbligo del mandato rendendolo senza vigore, senza fierezza, ma compone una dichiarazione paradossale in partenza “solo pochi soli hanno il calore/ che non muore, e un cuore squarciato/ dal giubilo del bruno che li assale,/ il cielo della stazione non scorreva/ emetteva partenze, anneriva, salutava” (Squarcio di materiali). La poesia non proviene più dagli dei come in Danzas ma è l’effetto della liberazione dell’uomo che ha intrapreso consapevolmente la profondità del lavoro poetico “figliolo, quando il sole scomparirà nelle ossa/ accendi una candela per me e combatti” (Testamento dell’invisibile).
Il libro di Mastropasqua è un viaggio esistenziale da meritare, una pienezza che libera dalla necrosi, basta fare caso alle sezioni, che anche qui assumono un valore allegorico come in Danzas (Preludio, Scherzo per uomo e orchestra, Sudaria, Adagio limbico, Allegro Variabile, Pavane, Coda). Il senso finalistico è piuttosto chiaro: verità, autoconsapevolezza, coscienza, coraggio, nuzialità, custodia, purezza, realizzazione dell’altro. Per fare questo, per incontrare ancora, la propria ombra di capacità (“chiamati luce e impugnati l’ombra”, Danza d’aria) Mastropasqua suggerisce di risalire l’adolescenza nell’adolescente abisso, questo perché è necessario che “il bimbo ermetico” come canto che “cantò”, viva. Perché per entrare in un luogo che si adagi nell’io, è necessaria l’Immersione, “il labirinto rampicante delle morti/ per paesi intravisti come rive fatue/ forse inginocchiate in amore o preghiera/ scavando l’intimo raschiando il senso/ del disegno”. Tutte le esistenze descritte dall’autore sono consce, la narrazione stabilisce quindi un’avventura nella realtà, l’intera raccolta è autonoma e dal carattere umano, le associazioni importanti, il ritmo omogeneo. Le sezioni non stabiliscono un diverso livello nel silenzio, ma sono descritte in uno spazio sinestetico dove “l’atleta della luce ha tre giorni” e si muove tra “famiglie meccaniche” e “il vuoto della specie”.
Come è possibile uscire da questa costruzione così perfetta e armoniosa, mi domando se esiste una evoluzione di Mastropasqua in un ritmo diverso, o una continuazione ancora più acuta. Alle volte ho la sensazione che in questa prova poetica non accada nulla perché la tensione è alta e può seguire solo congratulazioni e auguri, il lettore corre il rischio di pensare che le parole si chiudono, però poi personalmente mi rendo conto che restando qui seduta a leggere e scrivere senza fantasia non mi dispongo alla forma del poeta, ed è allora che compare nella fantasia e nelle pagine “l’accompagnamento dei delfini” o “la faccia azzurra delle balenottere” e “le ciminiere” che “erano ancora una città”. Ed è per questo che riconosco che in questo libro è nascosta la misura del romanzo, la stessa definizione della spazialità e della temporalità dei grandi romanzi, in questo esperimento “Viaggio salvatico” consola e conforta. Solitamente i poeti riescono a diversificarsi nelle opere poetiche che producono negli anni perché vivono momenti biografici diversi e la produzione risente della biografia, in questo caso il libro si trova a sottolineare il superamento della condizione giovanile, la connessione visibile a un circuito più vasto, un panorama letterario più ampio. Al poeta che quindi intraprende il viaggio della voce autonoma e professionale è concessa una poesia che non ha come ultimo fine il proteggersi o il mostrarsi nell’eventuale costante controcanto, una poesia che non ricorda qualche promessa di un primo amore, lontana da dare lezioni a sé stessa non è più forse un sogno ma è vita reale, condizione concreta della scrittura: lavoro e innamoramento.
Sabatina Napolitano
