Tutta la nostra vita sociale è costellata di percorsi mirati alle relazioni umane, una forma di crisi si manifesta quando il mondo manipola le nostre reazioni da dentro mortificando lo spirito creativo, il talento del nostro sé individuale, obbligandoci a integrare con forme di depersonalizzazione. E quando il nostro dentro e mondo interiore non è settato al benessere, alla ragionevolezza, la vigilanza e la calma non sono l’unico modo per superare la crisi.
Un secolo senza discorsi interni
Nella giostra contemporanea è sempre più raro trovare serenità e conforto rispetto l’orrore contemporaneo della cronaca. Di che colore sia l’orrore del Duemila questo non saprei definirlo, l’umana reazione prevede che associamo a tutto ciò che è orrendo il colore cupo delle ombre, del male, della polarità al negativo. Molto probabilmente il criterio che non giova ai nostri stili di vita frenetici è il quotidiano pressing che il mondo fa sulla relazione. In generale il costume della società contemporanea sembra essere aggressivo e veloce: l’istruzione e le università sono sì programmate secondo responsabilità ma forse metodi e strutture non sono del tutto adeguati a una esigenza di velocità progressista.
Il contesto formativo nel concreto rispetto l’individuo è focalizzato alla prevenzione del bullismo, all’utilizzo di moduli mirati all’assertività col fine di riuscire a vincere lo schermo ormai culturale dello spazio virtuale; tuttavia le potenzialità dell’ambiente non direzionano l’individuo allo sviluppo cosciente degli spazi, e quindi della società e della cultura. La nevrosi continua dei social, di internet e dei messaggi sublimali purtroppo trova un individuo sociale che da pochi decenni è entrato in contatto con questa dimensione nuova e rapida, produttiva perennemente.
I fenomeni mondiali di comunicazione di massa come i social sono fondanti dell’epoca contemporanea, ed è sempre più difficile nell’era della mutazione antropologica e del nichilismo cantare la persona, e discutere una riflessione all’altezza del fenomeno. Riporto un breve estratto di Luciana Rasicci che scrive nel saggio “L’epoca del panico” (Clueb, 2011) “ma oggi siamo in pieno anti-romanticismo. Siamo nell’iper-modernità, eredi nevrotici del futurismo che, avanguardia visionaria di ogni iper-, profetizzava all’alba del Novecento un mondo di velocità e di dinamismo” […] “c’è probabilmente un che di sovversivo nel percepire con la genuinità e la sensualità dei sensi il nostro corpo e la corporeità del mondo. Secondo Freud è la civiltà stessa a richiedere il sacrificio o la sublimazione delle pulsioni naturali. Per altri invece è il potere politico a dettare le leggi in nome di un ordine metafisico che lo avvalori e lo giustifichi. In una lettura marxista è fondamentalmente l’economia a forgiare le dinamiche del dominio di una classe sulle altre attraverso l’asservimento ideologico delle coscienze: chiedendo rispetto della tradizione in nome della stabilità e della sicurezza si impone l’obbedienza collettiva –non più coercitiva ma culturale e simbolica – al privilegio di chi, darwinisticamente, risulta più forte e vincente nella lotta per la sopravvivenza”, “l’antica repressione sessuofobica e la sua romantica sublimazione si sono in effetti risolte in quella che Marcuse già nel 1969 chiama “de-sublimazione repressiva”. Questo concetto indica l’inganno insito nel supposto superamento della repressione sessuale. In verità la de-sublimazione invece di liberarla ha alienato la libido dalla sua portata rivoluzionaria. Nelle intenzioni espresse dalla “rivoluzione sessuale” la libertà di amare doveva diventare fonte anche di libertà sociale”.
Da come si intuisce nel saggio Luciana Rasicci laureata in filosofia, abilitata in psicoterapia e specializzata in psicodramma tratta le psicopatologie moderne -che sono inserite in un campo vasto e assai complesso- descrivendo il disagio postmoderno, il nichilismo, la nostalgia di Pan secondo l’ottica della psicoterapia funzionale: dopo l’indice, la premessa e l’introduzione, in sette capitoli si descrive il panico quale epidemia psichica e psicosomatica.
L’autrice ci abitua a una critica psicologica della società attraversando la filosofia antropologica e politica (non dimenticando per questo di fare riferimento al pensiero di Bauman, Benasayag, Freud, Fukuyama, Groddeck, Recalcati, Winnicott, etc.) per cui si riesce a toccare con mano l’assenza di significato e di speranza nella dilagante estetica del cinismo che insiste sull’uomo contemporaneo sempre meno coinvolto alla vitalità ma più vicino ad una condotta di vita dettata dal perseguimento delle finalità utilitaristiche, dove lui stesso è nemico del suo proprio sentire, guidato semplicemente da una vocazione sociale, comunitaria che spesso non si intreccia visceralmente ad un desiderio nel senso di sé, ma a un terzo ideale probabilmente metafisico e ideale.
Il sé-mondo e la natura
È sorprendente considerare la potenzialità del nostro interiore quando l’uomo contemporaneo riesce a riscattarsi, a guidarsi da sé con la sua propria corrente inconscia e il suo desiderio di serenità e benevolenza che lo presenta quale cittadino del mondo. Si riparte sempre da sé, da noi stessi, dalla nostra cultura e anima interna, dal nostro stare bene in società, dalla poesia delle radici e dal nostro vissuto e personalità che non è visibile ma che noi possiamo presentare probabilmente senza l’uso di uno sfrenato intellettualismo, con una vocazione calma e piacevole. Per quelli nati alla fine degli anni Ottanta la percezione della velocità ad esempio come bombardamento di informazioni è inesorabilmente un retaggio culturale caotico e rischioso.
Personalmente ricordo che prima dell’era del virtuale passavo il mio tempo a giocare al parco o a scuola con gli amici, la mia infanzia è ancora fatta dei sapori e dei gusti della fine del Novecento. Il virtuale ci ha poi collegati in una dimensione continuamente nuova e del tutto fuorviante rispetto al sé. Mercificazione ed egoismo solo la risposta degli anni zero, possiamo immaginare nella timeline dell’evoluzione un grande asterisco che rimanda così alle nuove tecnologie che alla fine costruiscono questo nuovo secolo.
Per tutto il duemila suggestivamente possiamo immaginare un uomo distratto, apatico, sotteso a questa nuova organizzazione dei media che entrano nella mente, quindi nel sentire e nel cervello, inevitabilmente nella chimica dell’abitudine. In una prospettiva evoluzionistica l’uomo riflessivo e introverso è condannato come autistico. E la perdita dei valori dell’Ottocento e del Novecento è logicamente una conseguenza psicologica reale. Resta quindi una critica etica per cui ci si chiede cosa significa oggi singolarità, personalità e perché molti si ostinano a imitare persistentemente sensibilità e autorappresentazioni ideologiche e deformanti.
Il gusto dell’illusione
Lo sguardo liberatorio in un contesto di pressione e disistima è logicamente una psicologia sociale mirata all’incontro: stare insieme senza immaginazioni guidate, sentire ciò che manca dentro come tutto, sapere che l’esperienza dell’altro è qualcosa per me di essenziale e fortemente vitale, sentire che incontrando realmente l’altro e guardandolo negli occhi posso aumentare le mie sensazioni di piacere, vitalità, autonomia, autoaffermazione, immergermi in tutto senza vivere in una soglia percettiva continua comico e tragico mediata. Se il mondo e gli altri alterano le funzioni umane perché sono merce pervasive di un tempo senza reale stimolo emotivo e riflessivo, io mi fermo davanti alle apparenze e ai non-tempi dei media, mi fermo davanti ai non-luoghi e ai personaggi del cupio dissolvi, io voglio che tu senta che siamo insufficienti che al di là di nomi, di individui, di slogan e alienazione ci sei tu che non sei un semplice interlocutore e che fai parte di una autentica confessione, di una soglia continua di sensazione fiduciosa negli altri, di quelli che non danno disorientamento e che non sono malvagi per loro natura: l’uomo contemporaneo che rivendica il sé nelle situazioni, che ha una impronta antropologica che non crea disagio ma armonia.
Sabatina Napolitano
