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L’autore

Gianfranco Isetta di Castelnuovo Scrivia classe ‘49 è poeta molto apprezzato dalla critica, insegnante e sindaco pubblica Sono versi sparsi (Joker, Novi ligure, 2004), Stat Rosa (Puntoacapo, Novi Ligure, 2008), Passaggi curvi, poesie non euclidee (Puntoacapo, 2014, pref. Alessandra Paganardi), Gigli a colazione (Puntoacapo, 2018, pref. Ivan Fedeli) è recensito e curato da critici come Giorgio Barberi Squarotti, Mauro Ferrari, Sandro Gros Pietro, Gian Paolo Grattarola, Alessandra Paganardi, Roberto Delconte. Nei suoi testi non c’è ripiegamento interiore ed è quasi abolita la visione del poeta notturno, così come un certo espressionismo e crepuscolarismo. Esprimo con decisione che il suo è un genere signorile sicuro e mai alienato, sensibile che non rifiuta riferimenti alla poesia di Caproni e al Sereni di “Strumenti umani”. Disdegna un certo egocentrismo mentre rafforza una lirica misurata e vera.

Gli indizi e la creaturalità

“Che la poesia sia proprio questa sua non necessaria assenza?” [1]. Con questa domanda mi sembra bello cominciare una critica della poesia di Isetta che in questa sua è una parabola di indizi, quindi. “INDIZI…FORSE” (Puntoacapo, 2011, ANTOLOGIA con poesie dal 2001 al 2010, pref. Luca Benassi) è una raffinata antologia di testi per lo più brevi che non potremmo definire versi semplici dal momento che la lirica come valore universale e monolinguistico non sembra essere l’unico interesse di Isetta. La sua poesia non fa peso sul corpo, talvolta richiama uno sfondo antropologico (il Piemonte e Castelnuovo Scrivia, Madrid, Parigi, l’Africa, il Delta, Pian del Poggio, etc.), riferimenti a scrittori, poeti e artisti dei più disparati campi artistico-culturali (Celan, Calvino, Rilke, Sant’Agostino, Jaccottet, Whitman, Baker, etc.), e anche rifacimenti scientifici (Heisenberg, Einstein, Bohr, etc). Le poesie di Isetta sono così delicate e ricercate che non può il lettore non sposarsi col verso [2] le sue evocazioni sono scientifiche, emotive e lontane dalla retorica. La tecnica è quella di mediare la scrittura poetica come filtro percettivo che può quindi collocarsi in una attenzione selettiva del lettore. La risposta non è una generalizzazione, né una distorsione del senso o del significato piuttosto il “qualsiasi” che può applicarsi al “tutto” riconoscendo una differenza tra il poeta e il non-poeta e dimenticando la parola vaga e non occasionale per riscoprire il ricordo come motivo di origine e presupposto all’occasione poetica.

Il risultato delle eccezioni: il “prima” e il “poi” nel paesaggio degli indizi

Tutte le poesie sono presentate nell’antologia secondo una congiunzione mai disgiunta tra il tempo e l’atto, l’interlocutore è posto nel binario di una lettura chiara e forte, guidato quasi all’apprendimento delle esperienze personali dell’autore rilette in chiave poetica. Questo sistema quindi di “avvertimenti belli” e “indizi” è paragonabile ai processi di riflessione e previsione, alla didattica e alla approvazione proprie del procedimento scientifico. Le poesie di Isetta sono squarci levigati che individuano approvazioni, gesti positivi, sorprese e infine fortunate soluzioni. In questo riconosciamo una magia superiore, come un incantamento legato al prima e al poi di ogni avvenimento importante. Il “prima” di un avvenimento fondamentale non risulta poi così tanto felice e fanciullesco rispetto al “poi” che quasi contemporaneamente è ricondotto al bello, a qualcosa di veramente speciale che viviamo tutti con trepidazione originaria. Ed è in questa azione luminosa che lo sforzo di Isetta è mirabile: un lavorio di luce, collettivo, determinato che ci permette di sognare proprio nel posto in cui vogliamo sognare con gli affetti che desideriamo accanto che quindi diventano operatori poetici e sono interlocutori contrari del tutto all’aggressività e alla politica violenta di un riadattamento nel tempo [3]. È impossibile dimenticare tra l’altro la critica che Giorgio Barberi Squarotti fa alla poesia di Isetta sottolineando di marcarne i tratti dell’armonia stilistica, del sublime, della ricerca della verità del discorso poetico. Anche attraverso le sue parole i paesaggi e gli sfondi sono più nitidi, ed è anche per questo che qui, nel paesaggio degli indizi, molto probabilmente si annidano “i semi del possibile” di montaliana memoria. “Ed è negli occhi che si gioca/ il destino della luna/ CELAN direbbe: luna che/ riprende il suo sguardo e rilancia/ dai suoi bordi l’avvenire/ del mondo che si estende./ Ed ecco torna il suono sui suoi tasti/ e la poiana muove e spezza il volo,/ nel fresco rito della primavera./ Ora guarda – il viso aperto della sera- / cerca là in fondo la colomba d’oro!/ La leggerezza ne scopre i contorni/ ed una nuova immagine del mondo/ si offre alla constatazione dei giorni” [4]. È evidente che non riusciamo a penetrare il mistero, eppure le intenzioni possono trovare successo: si può chiedere alla natura di riconoscere un nostro bisogno primario, per evocarlo nella sua tempra e tentare di afferrarlo (il bisogno di amore, il bisogno di appartenenza, il bisogno di comunità) ed è proprio in questo slancio continuo di vincere ogni blocco che la passione è tutto, che l’impresa che attira l’uomo è di natura emotiva non narcisistica perché nel suo cuore degli anni si è coltivato il prezioso sentimento dell’affiliazione, il desiderio di restare al fianco delle menti di valore, dei pensatori capaci di significato. In questo testo il percorso degli indizi riconduce quindi il paesaggio ad offrire incanti e attrattive per accogliere e magnificamente stimolare, per rendere l’uomo contento, affascinato, formidabilmente lusingato dal potere della sua tecnica sulle cose. Che l’obiezione alla lettura dei fenomeni sia nascosta e velata o diretta questa è probabilmente una geometria inadeguata alla domanda del testo; quindi vien da chiedersi dove stia il punto di svolta decisivo, l’indizio chiave. Considerando che Isetta è un poeta tardivo (comincia a scrivere all’età di 52 anni) egli riesce ad offrire la lettura più adeguata per la formula “alla emozione nuova”. Ed è proprio così che in un rapporto costante, continuo e continuamente rappacificato con le cose che la “emozione nuova”, la dinamica degli oggetti è la dinamite pura e piacevole della motivazione felice, del richiamo alla purezza del verso, della concentrazione del pensiero in formule illuminate e intelligenti. Gli indizi di Isetta sono prove felici di riuscita, prove di una esperienza di vita bellissima e piena, dove si lasciano fuori dal cerchio le brutture, i disagi, le malattie espressionistiche, le persuasioni talvolta morbose e inattese. Qui l’inatteso ha la stoffa della mistica del positivo, l’inatteso determina un patto morfico per cui il futuro di ogni mondo possibile è iscritto nella naturale cornice di una filosofia della specie, perché solo in questo destino di espressione prudente la logica di ogni investimento risulta laboriosa, efficace, leggera. Perché solo riuscendo a tenere in mano la formula degli eventi è possibile non vivere nello straniamento di una “vita altra” ma tendere con coraggio alla mano della propria, così da riuscire a dirigersi nella vita come l’avventura più bella dei mondi possibili.

Le intenzioni e il non-destino

Se qui la poesia è descritta come dedita e distaccata in realtà il libro di Isetta è un libro di impegno civile e di passione. In questa ottica anche la poesia non otterrà nulla col silenzio, i testi sono raccolti in una antologia di psicologiche certezze, attimi condizionati da una continua sfida nel vivere il sé tra gli altri e per gli altri. L’intenzione ultima è di una apologia della vita e della poesia ma soprattutto la difesa di una condizione esistenziale ricca di finalismi e metafisiche (a questo proposito mi riferisco alla bellissima poesia “Le lacrime di Iside” dedicata alla verbena, considerata dai romani erba propizia e sacra che si pensava concedesse l’invulnerabilità) [5]. Quindi in questo libro Isetta si preoccupa di definire l’Essere come qualcosa di percepibile, sempre reale, presente. Se la mente si rifiuta di concepire il punto e la traiettoria dove “futuro” e “passato” grazie alla memoria “si piegano all’equivalente” [6], il risultato della filosofia è vivere “la freccia invisibile senza bersaglio” che “ringiovanisce il mondo” [7]. Nella poetica di Isetta il non-destino “sorride ingenuamente” come “il pesce luna” [8] questo perché il destino di Isetta è presentato come certezza dalle risposte sempre positive, come esempio migliore che vuole ottenere risultati e avere riconosciuto sopra tutto il valore personale. Questo atteggiamento maturato sui diritti umani e civili è rivendicato attraverso la poetica, e commentato come autorevolezza luminosa anche negli altri libri, “Sono versi sparsi” e “Stat rosa”. Il messaggio di Isetta è quindi il messaggio di una speranza scientifica, luminosa, fresca, chiara, un messaggio che è l’amore di un amore, l’invito a una passione non solo enormemente suggestiva ma soprattutto perturbante e mirabile. È un dono di visione fuori dal messaggio talvolta trasgressivo del linguaggio, si iscrive nella speranza di relazione di una comunicazione oggettiva. Comunicazione che perciò esclude ogni componente estranea alla propria volontà servile e volontà degli altri che il poeta quasi chiarisce e lava come nella poesia “Pulsano”, “Pulsano gli universi nell’oscuro/ cuori disseminati dal non Destino./ La spugna si dilata e si contrae/ sciacquo l’andirivieni del respiro/ nel gesto quotidiano del mattino” (p.89).

Lo sguardo post-moderno

“Il tuo sguardo post-moderno/ non l’autunno, ad ingiallire/ tutto quel che ti sta intorno/ e i ricordi da sfiorire./ Nei germogli trovan senso/ i colori dell’estate/ che ridona il sole denso/ alle storie post-datate” [9]. Nonostante la poetica e il mondo di Isetta non somigli a quello delle avanguardie postmoderne evidentemente lui ne riesce a cogliere l’importante sguardo, proprio perché l’urgenza della letteratura sta anche nella necessaria consapevolezza di campo: nell’appoggio razionale alla forza e alla vittoria di quello che in noi è felice, fiabesco, fantastico legato ad una procedura poetica di innamoramento con previsioni di critica non proprio di nicchia o polarizzate ma sensazioni di pulizia, di attrattiva intellettiva che risaltano in un sistema di parole chiavi e infine nella conoscenza del presupposto emotivo che grazie all’esperienza di una vita diventa subordinata colta e consapevole. Del resto lo spazio letterario è comune, proprio come sottolinea Isetta nella poesia “Si sappia”:

Si sappia

che l’inizio è solo un punto.

Scostarsene

è come pagare un debito

alla vita, liberarsi di un peso,

sorprendere

il futuro che ci aspetta

e non sa se verrai

dopo o non verrai.

Ma l’attesa è un bel suono

un rimando a momenti

luminosi mentre, senza

risollevare polvere

il nostro SIAMO LI’

si discosta di una piccola

apertura di compasso

lasciando strada

a chi ci pensa vivi,

per un falso riflesso

del respiro.

_____________________

[1] I versi sono presenti nella poesia “Che la poesia sia…” da INDIZI….FORSE (Gianfranco Isetta, puntoacapo, p.130) a tal proposito Luca Benassi nella nota introduttiva al libro accosta la poesia di Isetta alle esperienze di Giampiero Neri e Pier Luigi Bacchini soprattutto per il modo in cui indagano la natura.

[2] “Ti ho sognata/ stanotte in auto blu/ camminando/ scalzo mentre tu/ vieni, sottile/ come una separazione./ in abito da sposa./ Ti ho sognata ancora,/ ancora povera,/ pianta, bianca/ immaginata senza/ rose, legata/ ad un filo di organza/ di pazzia amorosa”.

[3] Si faccia rifermento alla poesia Spazi di democrazia a p.89 “Si vanno restringendo anche le foglie/ seguono l’indirizzo prevalente/ ormai non c’è più acqua nel torrente/ e non mi pare che,/ per ora/ pioverà”.

[4] Qui ad esempio Isetta rilegge Celan, scrive in nota al testo “con un pensiero leggero a Paul Celan” (pp.104-105) in una poesia dal titolo preciso “L’elasticità del lombrico”. Il riferimento a Celan si può cogliere anche in un’altra poesia di Isetta, “Sotterrarono un albero, rielaborazione di un testo di Paul Celan”: “Sotterrarono un albero,/ sotterrarono più alberi/ senza le foglie, senza un lamento/ e sopra le tombe deposero fiori/ ma era primavera, e i fiori/ volarono alle loro farfalle” (p.102)

[5] Molto toccanti i versi dal titolo “Le lacrime di Iside”: “Scegliti una verbana d’alabastro/ da crescere nel giardino dei cristalli/ avremo fiori di certezze pronti/ a penetrare ignote trasparenze/ prima che il tempo colmi la stagione” (p.66)

[6] cit., poesia p. 129

[7] cit., poesia dal titolo “SI” pag. 102

[8] la poesia è “E non accade altro”, p.92

[9] poesia dal titolo “Ottava di quartine”, p.38

Sabatina Napolitano

News Reporter
Sabatina Napolitano è nata a La Maddalena (SS) il 14 maggio del 1989. Ha pubblicato otto libri di poesia. Suoi testi sono usciti su Nazione Indiana, La poesia e lo spirito, Neobar, Bibbia d’asfalto, Poesia del nostro tempo, Gradiva, etc. Alcuni racconti su Quaerere, l’Incendario, Sguardindiretti. Origami è il suo primo romanzo edito Campanotto, 2021. Recensisce, collabora e intervista autori di poesia, narrativa e saggistica ed è una studiosa dell’opera di Nabokov. Edita, corregge, insegna, intervista, recensisce, scrive.
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