L’attività di Esther Basile
Esther Basile è giornalista, filosofa, saggista, vive a Napoli, collabora con l’IISF è referente e presidente dell’associazione Eleonora Pimentel Lopez de Leon nata nel 1996 presente in campo culturale con convegni in Italia e all’estero e promotrice di 15 scuole estive di alta formazione filosofica in Umbria, Campania e Abruzzo. Esther Basile è ideatrice del festival di letteratura e saggistica “Alchimie e Linguaggi di donne” di Narni e del progetto “La Tela del Mediterraneo” per la cultura dei diritti delle donne nell’area del Mediterraneo grazie alla quale ha potuto sperimentare le azioni per il miglioramento di condizioni femminili nelle carceri del Sud Italia e lavorare nella commissione cultura per gli Archivi delle donne. Redattrice delle riviste “Napoli News” e “Wolf” fa parte del comitato dei diritti umani di Roma e della Fondazione Basso. È curatrice e ideatrice dei “Quaderni di Narni” e ha curato la prima edizione del Premio Letterario “L’Iguana” dedicato ad Anna Maria Ortese, presso il castello di Prata Sannita. Recente la sua pubblicazione di poesia “Immagini” (Homo Scrivens, 2014) è autrice dei saggi Anna Maria Ortese (Edizioni Alieno, Perugia 2014, pp. 170, euro 12,00), Pasolini, Indomito Corsaro (Homo Scrivens 2016, pp.256, euro 15,00), Oriana Fallaci indomabile (Homo Scrivens 2018, pp. 312, euro 15,00).
Il mondo di Pier Paolo Pasolini: i paesaggi e gli incontri
È anche vero che la situazione del critico letterario oggi è diversa da quella degli anni Settanta del secolo scorso dove il critico pubblicava saggistica nelle maggiori collane editoriali ed anche per questa ragione è fortunato il lettore che ha la grazia di leggere un saggio su Pasolini tra l’altro scritto con tanto trasporto e smarrimento. Considerando che oggi i critici scrivono gratuitamente sulle riviste letterarie dominanti trovare un’attività critica intorno a Pasolini così originale e ricercata nonostante le ampie fonti è un attraversamento fortunato. È evidente che nella critica accademica come nel giornalismo letterario ci si trovi a parlare di Pasolini, in questo saggio Basile raccoglie contenuti biografici su di lui (ripercorrendo la biografia anche con la scelta di testi poetici da “Poesia in forma di rosa”, “Le ceneri di Gramsci”, “La meglio gioventù”, “Trasumanar e organizzar”) tracciando quindi i primissimi anni a Bologna, il Friuli e Casarsa, i viaggi, la morte.
La parola ai poeti e saggisti legati all’IISF
Per chi opera nella critica letteraria è impossibile non convivere con Anna Maria Ortese, Pasolini, Oriana Fallaci che Basile del resto tratta molto bene e approfonditamente in altri suoi saggi (a tale proposito suggerisco di guardare le interviste che ci sono su youtube). Nel saggio su Pasolini oltre a delle pagine tratte dall’Europeo del 13 ottobre del 1966 e dall’Europeo n.46 del 1975 scritte appunto dalla Fallaci e due interviste di Dacia Maraini pubblicate su “Saggi sulla politica e la società” [1] e “L’espresso” del 22 ottobre 1972 troviamo anche testimonianze e contributi di poeti come Elio Pecora e Roberto Deidier, saggiste come Lucia Stefanelli Cervelli. Quando trattiamo casi letterari senza paragone come quelli di Pasolini e Oriana Fallaci è evidente che si dimentica di dire qualcosa di diverso che non è stato già scritto prima: nell’opera di Pasolini i piani della letteratura, della realtà e della vita coesistono nel particolare di una teoria della letteratura che molto spesso trae oggi esempio da irrilevanti fenomeni sottesi tra il nulla e le idee comuni perdendo di vista l’impegno di catturare che cosa è la grammatica ontologica di base e cosa è oggettivamente letteratura e che quindi superficialmente si riferisce a questi modelli in difesa di un dissenso e una protesta quantomeno superficiali.
Pasolini nel panorama culturale italiano è incluso in una trama pienamente ed essenzialmente letteraria e sociale che non trova sprovvisto il pubblico colto, lui che tra i primi è stato capace a non sfuggire alle domande di senso del secondo dopoguerra soprattutto nel tentativo di affrontare e compensare un cambiamento sociale, antropologico, esistenziale brusco e forse troppo acceso per l’ordinaria percezione di cambiamento di paradigma filosofico. La percezione della metamorfosi della realtà per noi da Pasolini in poi cambia anche grazie e soprattutto alle sue energie intellettuali e artistiche. Roberto Deidier non solo a questo proposito ma anche e soprattutto nello spirito della critica intorno la mutazione antropologica, intorno alla riflessione sulla semantica storica degli anni Cinquanta, sulla questione della metamorfosi della parola e del confine dello spazio letterario parla in dei frammenti pubblicati nel saggio da Basile di un “neoilluminismo critico” dove inserisce autori non lontani da Pasolini come Calvino, Volponi e Sciascia e aggiunge che nel caso di intellettuali del calibro di Pasolini e Calvino l’attualità invade decisamente l’anarchia semantica al punto che è possibile parlare di un processo di “riduzione parodica” della scienza. [2]
Quindi se quella di Calvino è una “sperimentazione allegorica e combinatoria” [3] Pasolini rincorre la logica della polemica, dell’intervento giornalistico, la teoria dell’attualità e l’oggetto della domanda attuale. La risposta alla mutazione antropologica non resta quella di una narrativa insoddisfatta priva di passioni civili e attive, piuttosto la fortuna del patrimonio di Calvino e Pasolini ci autorizza a una eroica pretesa di identità sia culturale che sociale. Il Secondo Novecento di Pasolini e Calvino è la trama sociale di un tempo di evoluzione dove non è possibile fondare tutto su un recupero della tradizione e non è possibile radicarsi nelle avanguardie letterarie che restano il più delle volte totalmente estetiche tralasciando di continuare un sentimento umile e basso di evento storico imprevisto e perciò coeso a una condivisione degli stili in un apparato di giudizio etico mai completamente distante dalla giustizia poetica (di parte aggressiva e totalizzante e di altra parte trasgressiva, sinceramente nuova ed efficace). La poesia è così un vettore antropologico a cui è affidata la coscienza dei mutamenti: questo perché è vero che all’inizio degli anni Ottanta il neocapitalismo lascia l’uomo senza ulteriori legittimazioni che lo leghino alla Natura, senza nobiltà spirituali che possano consentirgli lo stabilirsi di uno scopo privato all’interno di una società interessante ma anzi propagandistica e indifferente. Tanto che la vita privata diviene vita particolare a prescindere dallo stile, e inevitabilmente le rappresentazioni artistiche finiscono con l’uniformarsi di una interna domanda di rientro e qualità necessaria dal momento che il successo sicuro tramite i media, l’azzardo del raggiungimento dell’appagamento è possibile senza la disciplina della dignità.
Proprio sull’essere-nel-mondo di Pasolini si sofferma Elio Pecora nei contributi al saggio di Basile, qui Pasolini è “poeta elegiaco”, “semina inquietudini e s’attende la pace”. [4] Pecora infatti ne traccia un ritratto umano e analitico di uomo perso tra le passioni trasgressive e gli attaccamenti alle rivelazioni intellettuali che hanno ricostruito il Dopoguerra, proprio quando ogni altro tipo di discorso intellettuale sarebbe rimasto una pura formazione discorsiva astraente. Quella di Pasolini era una vita in comune col pubblico, di un vate che condanna una società che lo condanna, di un uomo che ha tenuto svegli gli uomini dopo un sopruso collettivo, che ha saputo comunicare con accanimento una verità contro la spettacolarizzazione di massa.
Lucia Stefanelli Cervelli si sofferma ancora sul valore della parola e del teatro in Pasolini in una sintesi tutt’altro che minore: la “parola” di Pasolini è “parola lucida e precisa” [5] non è l’oltraggio di un rock distopico e continuo che tende ad attraversare il relativismo senza mai riuscirci, ma anzi corre nel tratto tracciato della teatralità della parola poetica per disciplinarne col teatro appunto gli occhi e gli attraversamenti. A questo allude l’indottrinamento della parola “scenica” descritta da Cervelli come uno specchio “critico” anziché “rituale”. Il teatro di Pasolini e la cinematografia quindi come Utopia della parola scenica più precisamente come messaggio polemico e politico, che non riesce del tutto a spostarsi dall’atto poetico, che non abbandona raffinatezza, eleganza, simbolismo, allegoria, visionarietà, finalità civile e politica.
L’intervento giornalistico, non solo un esercizio di stile
In una prospettiva di fianco Pasolini non sembra avere un approccio diverso da Sanguineti con la poesia probabilmente nell’obbedienza a una vocazione polemica, pubblica e libera dalla forma chiusa e privata da “ragazza della porta accanto”, questo perché alla poesia è affidata una forza che invade gli altri campi con nobiltà e legittima le sue stesse difese con coraggio; la poesia quindi non invoca solo delle sollecitudini storiche che la vedono in pieno sole ma soprattutto è capace di accorpare più stili e con questo si intende anche la mescolanza con l’attualissima struttura impoetica. Soprattutto con Pasolini il complesso di autenticità, di sensibilità, di registro libero e affettivo come prospettiva della prima persona aprono ancora alla critica il varco di una coerenza non solo formale ed espressiva ma dettata da una ampia forbice di possibilità intellettuali e critiche. La pretesa di una poesia che viola i meccanismi di memoria involontaria tramite un dolce equilibrio critico è possibile solo grazie ad un registro capace di dominare il romanzo sul tempo attuale. D’altra parte lasciare andare la riflessione critica fino ad accecarsi e da sola appassire vorrebbe dire arrendersi a una prospettiva continuativamente narcisistica ed egocentrica di una vita egoistica senza principi ed erranze. “Si chiamava Egoismo, Passione” […] “è una rosa carnale di dolore,/ con cinque rose incarnate,/ cancri di rosa nella rosa,/ prima: in principio era il Dolore” [6] questi sono elementi di una poesia che onora il vero, non ricerca inciampi né facili allegorie che non cerca il passato, “so che è assurdo rivolgersi al passato. Non sono un reazionario” così risponde del resto Pasolini a Dacia Maraini nell’intervista intorno il ruolo delle donne nel film I racconti di Canterbury. [7] aggiunge “ma purtroppo so anche che non si può modificare questo mondo. Il capitale fa quello che vuole”, “il mondo contadino artigianale preindustriale è distrutto e quindi anche la sua versione del mondo e la sua morale sessuale. Ma per me quello era il mondo in cui sono nato e cresciuto e lo amo. Non si possono amare le astrazioni”. Se da un lato quindi un modo per contestare il presente è trincerarsi nella riflessione sul passato che tuttavia è insoddisfacente e “vecchia”, una direzione opportuna per superare la nevrosi della tempesta è tendere al “nuovo” come circolazione permissiva di idee nuove non convenzionalmente indotte e indottrinate ma anzi che risentono di una temperatura adatta al cambiamento in crescendo. Le leggi che catturano questo camaleontico sole del tempo non lasciano escluso nessuno, il fatto sociale è il riassunto di una nuova psicologia dell’educazione regina e figlia di una antropologia culturale pacifica e permissiva nel senso della libertà solidale.
Una memoria partecipante
Recuperare la memoria di Pasolini nelle pagine di Basile non consiste nel destinare ad altri mari l’opera del poeta friulano che già in vita sembrava non svilupparsi al tramonto: il fatto che la critica non vede in Pasolini un sintagma obbligato ma un cambio di prospettiva del fare civile e un pioniere di una riflessione mai fuori fuoco dettata da una crisi su scala mondiale che irrimediabilmente avrebbe inquadrato l’uomo contemporaneo nella indicibile solitudine e nello sconforto simmetrico ai respiri sociali è dato dal respiro esclusivo della sua opera che ancora è pratica di una appartenenza attualissima.
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[1] Si tratta dell’intervista leggibile su P.P Pasolini, Saggi sulla politica e la società, a cura di W.Siti e S. De Laude, “Meridiani” Mondadori, Milano, 1999, pp. 1670-1681
[2] Per Deidier la scienza intesa come “cultura della ragione” segue con Calvino e Pasolini una “riduzione parodica”. Pasolini infatti rifugge la liricità per portare la poesia sul piano della polemica e dell’intervento.
[3] Sempre lo stesso Deidier vede in Pasolini e Calvino due “brainframes” e ne traccia le differenze e i punti di congiunzione, contributo in E. Basile, Pasolini indomito corsaro, Homo Scrivens, 2016, cit., p.85
[4] E. Pecora, Pasolini eroe della desolazione, contributo in E. Basile, Pasolini indomito corsaro, Homo Scrivens, 2016, cit., p. 155-156
[5] Lucia Stefanelli Cervelli, Pasolini o della “indicazione sospesa” (l’utopia della parola scenica) tratto da Rivista quadrimestrale Teatro Contemporaneo e cinema – diretta dal prof. Gianfranco Bartalotta – università la Sapienza, Roma, ed, pagine Roma- cit., p. 188-189
[6] Pasolini, alcuni versi da “Poesia in forma di rosa”, Garzanti, 1964, pp.51
[7] Dacia Maraini, “Ma la donna è una slot-machine”, colloquio con P.P.P, L’espresso, articolo-22 ottobre 1972, cit., p. 250-251
Sabatina Napolitano
