Dopo la rubrica #libricomefigli sono felice di aprirne una nuova dal titolo «La me calda e le geografie» proprio così #lamecaldaelegeografie. Per questa occasione ho deciso di cominciare a parlare del luogo in cui sono nata, La Maddalena – in provincia di Sassari- quindi non potevo non considerare un saggio che raccoglie descrizioni dettagliate dell’arcipelago, scritto da Antonella Anedda dal titolo «Isolatria. Viaggio nell’arcipelago della Maddalena».
Isolatria è un viaggio, è il viaggio di Antonella Anedda e di noi lettori, nell’arcipelago della Maddalena, un viaggio scritto dalla mano di una poeta e saggista, tra le più influenti del panorama letterario italiano. Edito Laterza nel 2013 per la collana “Contromano”, Isolatria è anche sul sito leparoleelecose dove si possono leggere degli estratti, intuitivamente per chi non è nato (come me) e non ha mai visitato La Maddalena e le isole limitrofe è piuttosto impossibile vivere a pieno le radici del testo. So che anche Laura Pugno è stata nell’isola, questo l’ho appurato dopo aver visto le foto lì postate su Instagram anni fa (pensiamo al fatto che Instagram a volte è utile anche e sopratutto quando dalla home blocchi gran parte delle influencer che invece a parere mio sono totalmente inutili alla letteratura, tranne le bookinfluencer, ma per quello dovremmo aprire una parentesi polemica differente).
Quando sono stata a La Maddalena, l’ultima volta, nel 2015, un pomeriggio ho incontrato un mio professore dell’Università che dovevo ancora finire, -il prof. Bonatti,- e giravo da sola perlopiù a volte con degli amici, che ogni tanto taggo nelle foto di Instagram. Ho girato l’isola per quell’occasione in barca, o a piedi. A parte il grande vento delle bocche di Bonifacio è vitale per me, non solo piacevole, andare lì per qualche giorno. Nel 2015 non conoscevo Antonella Anedda, -un poeta napoletano, Bruno Galluccio- mi ha parlato di lei solo nel 2016. Non la conoscevo, non l’avevo ancora letta. In realtà non mi avrebbe comunque meravigliato che ci fosse lo zampino storico intorno alla mia nascita e anzi che sia stata in un qualche modo battezzata dalla letteratura: questa coincidenza non è altro che una conferma dei padri. L’Abbatoggia, Stagnali, Tahiti, l’isola di Giardinelli, Caprera, Santa Maria, Santo Stefano, Budelli, Tegge sono solo esempi di luoghi dell’anima che solo uno stolto può considerare distanti una volta visitato l’arcipelago.
Cinque anni fa, giravo in scarpe da ginnastica facendo trekking, non ponevo nemmeno caso al vento e mi stendevo per ore sulle spiagge non lontana dai cormorani, senza portare nemmeno l’ombrellone con me (un fatto impensabile per la me di oggi, ma nel 2015 ero probabilmente nella fase sportiva della mia vita). Contavo molti chilometri a piedi ogni giorno, partendo col bus e spostandomi poi a piedi o in traghetto. Spesso anzi quasi sempre, da sola. Nel 2015 abitavo nella casa della signora che mi ha vista nascere la domenica del 14 maggio 1989, nell’ospedale dell’isola: era la festa della mamma. Probabilmente le isole il periodo invernale soprattutto, sono suggestive, si sfollano dei villeggianti e si popolano di silenzi e segretezze. Uno dei miei personali ricordi più piacevoli non è invernale ma estivo ed è stato quello di mettermi in topless nell’isolotto dell’aglio: libertà e piacere.
Isolatria, il saggio di Anedda è diviso in ben 24 capitoli e per farvi comprendere il contenuto cito alcuni titoli tra questi: la Maddalena, Caprera, Stagnali, Santo Stefano, Cala Coticchio detta Tahiti, Cala del Polpo, Cala Serena, Francese, Budelli. Peccato che ho perso negli anni le foto dalle memorie esterne del pc, ma i panorami sono ancora vividi dentro di me, in modo che possa raccontarli per bene. Alcuni articoli tratti da Isolatria si trovano anche su doppiozero per la rubrica «isole» redatta da Anedda. A questo punto vi aspetterete che descriva pedissequamente ciò che nella biografia/ saggio c’è scritto, per me queste pagine sono fuoco quindi mi limito a seguirne alcune tracce per frammenti. Emblematici sono i passi che trattano gli argomenti del vivere da isolani, del sentire l’isola e dell’essere tutt’uno con l’isola.
Quando ero a La Maddalena l’autista di un bus con il quale parlavo spesso mi diceva di trovarmi “patella” proprio come gli abitanti dell’arcipelago. Patella equivale a dire un mollusco di mare che si attacca alle superfici per sopravvivere, ora avevo anche una immagine affettuosa per me. Dal momento che guardandomi in volto mi definivano tutti una maddalenina mi sentivo veramente bene, sinceramente. Il mare non mi ha mai spaventata quanto il cielo, viaggiare in nave per me non è un problema, anzi viaggiare in aereo ad oggi un po’ lo è. Posso dire anche che il mare non mi ha mai realmente spaventata così come il vento, non riuscirei a vivere in posti della terra minacciati da possibili uragani o cicloni, ma riesco a sostenere il vento fortissimo delle bocche di Bonifacio se passo in barca. A Stagnali, -al museo, invece- trovai come opera contrmporanea, una grossa nassa, bellissima, che ho anche riportato in Instagram alcuni anni fa. Poi ho visto che la Nassa era diventato nel frattempo il titolo di un libro di un autrice napoletana, allora ho cancellato la foto per non creare conflitti, in ogni caso, lì al museo di Stagnali ho comprato anche diversi libri di geologia e scienze della terra di cui mi interesso e di pietre e fondali. Ricordo di aver riletto questi libri insieme ad “Isolatria” anche quando è morta mia nonna Chiara, nell’ottobre del 2018. Questi luoghi mi riconnettono al mio sé superiore probabilmente, alla Madre. A La Maddalena giravo per il porto e mi imaginavo chissà come mia madre probabilmente girava con l’altra mia nonna, la nonna Anna, quando era in attesa. Ho delle loro foto quando mia madre giovanissima, a 23 anni, girava col pancione e mia nonna con la sua espressione curiosa e il neo sulla punta del naso le teneva il braccio. Fare tante ore in viaggio in barca per vedere nascere la prima nipotina non doveva essere così stancante, pensandoci non le ho mai chiesto di quel viaggio a mare. Per quando riguarda me, durante i miei 31 anni, non ho mai avuto una gravidanza e non so cosa voglia dire essere madre, probabilmente sto rompendo la catena mitocondriale, spero di no.
Mi sono trovata spesso a parlare a me stessa rendendomi conto di desiderare molto la maternità, parte del problema che non trova soluzione, -per ora- è che amando la solitudine mi riesce difficile essere colta e magari essere desiderata come madre (non solo di libri e progetti!), ma la maternità è un evento che mi auguro grandemente, sopratutto andando avanti negli anni. Per i più curiosi, rispondo come ho spesso già scritto, che avrei dovuto chiamarmi Chiara se avessi preso il nome di mia nonna paterna, ma i miei hanno preferito chiamarmi Sabatina come il nonno paterno, Sabatino, che era morto il 18 aprile del 1989 pochi giorni prima che io nascessi. Il nonno che era del ‘29 (nato l’11 marzo) moriva per infarto e io nascevo pochi giorni dopo. Dopo un grave lutto, -mio padre era giovane aveva 24 anni,-una piccola vita. La nonna Chiara è invece nata il 9 marzo del ‘34 mentre la nonna Anna il 22 novembre del ‘43. I miei nonni materni erano entrambi sarti e di lavoro facevano i sarti; mio nonno Sabatino invece era ferroviere. Non c’è stato un solo giorno in cui ho sentito che il mio nome mi irritava, tutto sommato sono contenta di chiamarmi Sabatina e mi sono sempre trovata a mio agio in questo nome, anche mia cugina si chiama come me, Sabatina Napolitano, in onore del nonno e credo non ci siano problemi intorno il nostro nome dopotutto. Probabilmente se mi sposassi cambierei cognome, ma è presto per pensare a questo ora.
Quando diversi anni fa, frequentavo un corso coi preti francescani ci dissero che nel nome c’è il disegno di un destino: io non lo credo totalmente. Il cognome è contingente e suppongo che le divinità si occupino delle anime e del processo evolutivo spirituale al di là di dove si trovano e come crescono o che nome hanno. In ogni caso non avrei nulla contro il mio cognome, così come mi piace la mia fisicità, nonostante i difetti e amo molto i miei difetti. Tutto sommato, non mi cambierei. Tornando al libro, Anedda offre delle fotografie dell’isola fedeli: passando per la vegetazione (pini, olendri, ginepri, mirto, lentischio, ginepro, tamerici, licheni, anemoni, gigli selvatici, magnolie, bouganville, ecc) e i venti (maestrale, libeccio, ponente, scirocco, grecale, ecc). Proprio come Anedda anche io sono stata per diverse sere al cinema all’aperto, ricordo che l’ultima volta guardai un film storico. Certo fare tutto da sola non ha lo stesso effetto di condividere le esperienze con qualcuno in particolare, ma per un periodo sono stata insieme a degli amici in giro per le cale e in barca per le isole. Sono stata anche a diversi eventi culturali come il festival Jazz, il festival musicale delle Bocche. Non so dove morirò ma sono felice di essere nata nell’isola della Maddalena, il 14 maggio del 1989. Un anno emblematico, come tanti altri, ma forse più vicino alla mia storia. Nascere in un luogo caratteristico, come La Maddalena, una così meravigliosa isola italiana, mi fa sentire accettata dal destino. Per i primi dieci anni della mia vita oltre alla Maddalena ho vissuto a Sgurgola e a Taranto, gli altri anni a Casalnuovo. Frequentando il liceo classico a Napoli, -a piazza del Gesù- ho avuto modo di vivere la città da giovanissima. Negli anni poi è cresciuta forte in me la voglia di conoscere luoghi che nelle mie letture erano solo ipotetici. Anche se l’uomo è continuamente angustiato dal desiderio di restare e dal desiderio di viaggiare, come scrive Anedda, il compromesso utile è viaggiare attraverso i libri. La naturalezza ha portato Anedda verso autori come Bishop, Carson, Jaccottet di cui ha parlato con grande intensità, si tratta di preziose altezze non di bassezze, che alcune volte, forse troppe e purtroppo ritrovo in giro tra i social e i concorsi letterari. Colgo l’occasione già che parlo dei miei natali, di nominare quasi tutte le figure più o meno dotte come più o meno crude, in cui taluni confidano per rivolgersi -forse in modo indiretto- a me attraverso titoli eufemistici legati in modo assurdo al mio cognome. Dal momento che faccio di cognome Napolitano, le metafore che più spesso trovo sono: ano, Napoli, buco, sedere, culo, chiappe, fortuna (per i più fantasiosi perché si associa l’espressione “culo” o “farsi il culo” per intendere che il lavoro sodo non è questione di fortuna).
Come ho scritto non credo che nel cognome esista un disegno destinico ma siccome mi trovo a scrivere di altezze voglio considerare alto anche il cognome che mi è stato affidato da un ordine forse misterioso. Così come riporta Treccani (http://www.treccani.it/vocabolario/culo/)
“farsi il culo” equivale a dire “affaticarsi”, “stancarsi moltissimo” o altre espressioni figurative in italiano sono “che culo!”, “battere il culo in terra”, “essere culo e camicia”, “pigliare per il culo qualcuno” e altro. Ma non voglio dilungarmi in questo argomento che per me non è straordinariamente emergente. Dopo questa breve parentesi ho voglia di passare di nuovo a parlare di Isolatria, questo racconto di coscienza quasi e iniziazione spirituale. I grandi libri sono capaci di trasformazioni interiori, così in questo viaggio, riesco ogni volta a filmarmi come in dei passaggi obbligati -luoghi della letteratura, – tanto che ogni pagina risulta inevitabilmente piena di forma, della forma propria della letteratura e della storia – che riesce, in ogni caso- ad applicare alla natura il criterio più prezioso, più memorabile e centrale. Vorrei poetarci tutti gli autori in questa isola a cui per ora tendiamo in poche a partire da Anedda, Laura Pugno ed io per nascita. Inanzitutto vorrei portarci i grandi scrittori perché questa isola per me emblematica, ci fa carichi delle sue singolari ricchezze, e sopratutto perché la storia, -che con me è stata così generosa e opportuna- può continuare attraverso di me a muovere le sue ragioni, a parlare delle sue macchie d’oro nelle nostre vite.
Per questi preziosi rimandi la mia strada conosce quella dei grandi della letteratura e si difende dalle bassezze che vogliono forzatamente assimilarsi alla storia. Tornando a La Maddalena mi piacerebbe scrivere un breve saggio sulle numerose iconografie della Maddalena, (se ne avessi il tempo materiale e non dovessi invece passare gran parte del mio tempo libero a difendermi), per citare alcuni pittori che si sono dedicati a questo tema come Piero di Cosimo, Tiziano, José de Ribera, Caravaggio, Georges de La Tour, Caravaggio, Hayez, Merle, ecc. Abbiamo visto che delle scrittrici seguono la mia pagina per ispirarsi poi ai loro libri, mi auguro che non si mettano a fare le visitatrici a La Maddalena per non rendersi più vistosamente ed esplicitamente ridicole, come non sono già ai miei occhi. In ogni caso sono libere di continuare a rendersi schiave di un giogo stupido da loro stesse creato.
Come ho scritto nella poesia “Nuvole sparse” pubblicata da Silvia Castellani qui (http://farapoesia.blogspot.com/2017/09/nuvole-sparse-sabatina-napolitano.html?m=1)
“vibra in un museo il tuo nome che chiama lettere e pubblica in una antologia/
di me e te, noi, tu sei fuori dall’ovvio del mondo/
una linea di Kandinskij che leggevo in bus a La maddalena”
nel 2015 leggevo appunto Kandinskij in uno dei miei meravigliosi Adelphi “Punto, linea e superficie”. Perché Kandinskij? Semplicemente perché le sue sinestesie ti traghettano continuamente in un ordine di pensiero sottile e complesso, diverso. Kandinskij non solo ha la grande capacità di riuscire a rispondere a delle mie domande complesse, con grande direzione filosofica, ma sopratutto materializza nei suoi aforismi e concetti la sintesi di incontro tra le discipline (pittoriche, musicali, artistiche). La sua profondità di pensiero e le idee intense mi suggerivano la scelta di valori estetici con cui vivere e occupare quel tratto del mio presente. Avevo con me, tra l’altro “Poesie d’amore” che avevo da poco pubblicato e che avevo regalato anche al mio prof, Bonatti. D’altra parte mi sentivo connessa al mio esperimento di lirica (un esperimento speciale che mi sono voluta regalare dopo diversi anni di silenzio) e all’età delle grandi liriche come quella classica, in aggiunta a diverse ispirazioni orientali, non solo provenienti dai lirici greci e alessandrini. Avevo letto Pavese e Luzi, che comparivano ancora nelle mie narrazioni mentali, sopratutto perché non ho mai abbandonato il novecento totalmente. Quell’incanto del classicismo poetico io lo chiamo ancora vita da conservatrice quale sono a volte.
L’amore per la pittura e la scienza non mi hanno mai abbandonata, mi piaceva e ancora mi piace interpretare epifanie con criteri obliqui, maturati secondo le mie personali opinioni. La Maddalena connetteva in me con le sue strategiche bellezze, le voglie più genuine, più fresche. Ho lasciato quei miei paesaggi con una nostalgia profonda, abitata dal desiderio ipnotico e silenzioso di poter rivivere quelle sensazioni magari affrontandole con nuove immaginazioni e domande da uno stupore diverso.
La sensazione che mi rimane addosso è quella dell’impresa e della sorpresa: come quando scendi per Cala Coticchio, Cala Serena o Francese. Nei percorsi di trekking ti vedi davanti una fila di persone che per la maggior parte sono abitate dalla percezione di un “evento”, “un avvenimento speciale” (sopratutto per quelli che non si muovono esclusivamente in barca). Nonostante i posti siano fotografati e le foto girano in internet e Instagram affrontare la sfida del paesaggio non è solo una rincorsa adrenalinica, ma traduce la bellezza innata dell’uomo del volere esplorarsi esplorando. Per vivere la Maddalena è necessario avvertire dentro questo spirito, per chi non si voglia domandare uno sguardo avventuroso e stimolante la Maddalena non è il posto giusto né per nascere né per vivere. Non mi dilungo perché vorrei registrarvi un breve video, sposando come Emanuele Trevi sostiene in un articolo il principio secondo cui è utile associare la personalità a chi scrive, e i video sono l’unico modo che ho per mostrarvi parte della mia personalità e persona.
Sabatina Napolitano
