Anche nell’atto di farsi la barba c’è una filosofia, così Murakami cita Maugham in prefazione a “L’arte di correre” un giorno di agosto del 2008. Un libro autobiografico cominciato nell’estate del 2005 e finito nell’autunno del 2008. Ho condiviso questo libro di Murakami il 23 agosto del 2020 su @abitudini_indispensabili il primo giorno che i miei amici mi portarono a Cirella. E l’ho riletto ora a distanza di qualche mese, chiedendo in prestito una edizione Einaudi del 2009 dalla Biblioteca Comunale di Abbadia San Salvatore. Commento questo libro con grande commozione non solo per l’atmosfera che ho vissuto e vivo qui ad Abbadia sul monte Amiata, ma anche perché ho desiderio di non andare mai più via dalla Toscana e radicarmici, tornare sempre e viverci. Mi sono spesso sentita voluta da questa terra e non per enfatizzare delle fantasie ma per un sentire profondo, vorrei viverci per molti anni. Tra la prefazione e la postfazione il libro di Murakami si articola in nove capitoli. Si comincia dall’isola di Kauai, nell’arcipelago delle Hawaii -isole della Polinesia che sto da tempo studiando anche per la mia narrativa insieme ad altre isole del Pacifico-. Ce lo chiediamo mai in giorno di riflessione sul destino “dove mi trovo”? “Qui sono straniera”? Sarebbero titoli questi, per romanzi esistenziali, ma come tornare a correre verso la baia di Boston, nei pressi del fiume Charles, Murakami sentiva il fiume come una corrente impetuosa, come una idea che non conosce esitazioni, dopo aver superato le verifiche, se ne andava in silenzio verso il mare, senza fretta, senza mai riposarsi. Mi piacerebbe essere letta così, da questo laghetto da cui vi ho girato un breve filmino, non vorrei mai essere costretta a leggere i romanzi sulla estraneità inutili e ridondanti, nè sulla terra d’origine o sul trovarsi in un luogo. Sono tematiche queste, davvero distanti dalla mia anima. Piuttosto mi piace pensare e considerare che nella vita ho corso da sola, ma con la musica dei grandi autori. Senza mai riposarmi e con un ardore impaziente. Trovo per questo davvero inutili i romanzi sul gioco di linguaggio che riguarda “l’abitare”, il “collocarsi” dal momento che in Toscana sul serio mi sento a casa come da sempre. Io sono italiana, e in quanto italiana mi sento di amare l’intera penisola, e spesso ho fatto riferimento a diversi luoghi dell’anima tutti italiani. Credo giusto che una italiana parli dell’Italia prima di tutto. Anche per questa ragione non pretendo di scrivere in altre lingue, per lo meno per ora, nè di essere amata spinta da un circuito di potere, anzi. Mi esprimo con quello che mi appartiene, con lungimiranza e umiltà. Mi trovo perciò in una terra questa dell’Amiata e della Val d’Orcia circondata da persone che mi sono a cuore e a cui io sono a cuore, intessuta come di una promessa del mio destino, che è mia e solo mia. A causa della pandemia non ho potuto ancora spostarmi da qui per ritornare a Siena o in altri paesi della provincia. Ma probabilmente mi accordo a un disegno profondo che non si specchia in una pura soggettività che mi appartiene anche e soprattutto per il mio profilo di critica e scrittrice, ma che invece si specchia in uno sguardo profondo in accordo al mio destino personale, che si presenta come un viaggio per restare cominciato come un correre silenzioso da maratoneta giusta, prima di tutto verso me stessa e poi verso gli altri a cui è necessario e doveroso a questo punto piegare e allungare lo sguardo. Non esistono dimensioni parallele dove lo scrittore contemporaneo non è immerso nella sua storia biografica perché vita privata e letteratura coincidono nei disegni, per questa ragione non esiste una contigenza letteraria dei romanzi delle scrittrici a me contemporanee che di fatto non mi appartengono. Non sono polemista in questo caso perché di una produzione si può estrarre un risultato ma si può non essere d’accordo con gli altri risultati. Questo sguardo quindi, non è affatto ridotto alla pura soggettività bensì all’evidenza di chi ha per mestiere il carisma dell’indagine letteraria e biografica e di chi come me, lascia con sincerità in quello che scrive l’anima preziosa delle cose. In altre parole intendo immergermi in una narrazione della vita e quindi della letteratura che mi appartiene e lasciare scomparire quelle di cui esistono i palpiti occidentali ma che tuttavia non si imprimono nel mio occidente. Proprio come quando si corre non si hanno aspettative sulla corsa, anzi ci si lascia al respiro della fatica, così in questa terra tutti i miei anni trascorsi suonano anche come una dichiarazione passionale, in una terra non solo dei vivi ma capace di ispirare in me suggerimenti per il vero e più profondo significato delle cose. Ho scelto di parlare di questo libro di Murakami per tracciare con la vita e quindi con la mia letteratura e produzione letteraria delle verità universali e non riuscivo che a legarmi a questo libro: il primo capitolo “chi può permettersi di ridere di Mick Jagger?” mi ha fatto inevitabilmente pensare a un articolo che ho letto su Valley Life anno XIX n. 161 settembre/ottobre 2020 dove si parla anche dell’amore di Mick Jagger per la Toscana. Il cantante si definiva quindi “innamorato” della Toscana tanto da passare in Toscana diversi periodi di vacanza. Non mi sembra un caso che i Rolling Stones accompagnino le corse di Murakami nelle Hawaii e le mie letture qui sul monte Amiata. La musica, quella vera, unisce in una continuità che si scorge nell’anima e ancora nello sguardo della voce. Ma la riflessione sull’arte di correre di Murakami è soprattutto un insegnamento sul come si fa lo scrittore, “con un carattere del genere non penso di andare in genio a qualcuno. Forse c’è uno sparuto numero di persone che provano qualche interesse per me. Ma è piuttosto raro che io piaccia. Chi mai può provare simpatia o qualcosa di simile per uno come me, uno che manca del tutto di spirito di collaborazione, che al minimo contrasto va subito a rifugiarsi da solo in un armadio? Mi domando però, se uno scrittore di professione abbia davvero, fin dall’inizio, la possibilità di essere simpatico a qualcuno. Non lo so. O forse da qualche parte del mondo questo succede. Non si può generalizzare. Tuttavia, per lo meno per quel che mi riguarda, non credo sia possibile dedicarmi per mesi e mesi alla scrittura, e al tempo stesso suscitare simpatie su un piano personale. Mi sembra invece più naturale che la gente mi detesti, mi odi o mi disprezzi. Anche se non ho intenzione di dire che quasi lo preferisco. Sarò quel che sarò, ma non c’è alcun motivo perché io sia contento di non piacere ai miei simili. Comunque questo è un altro discorso, parliamo invece della corsa”. Se quindi per scrivere sono possibili decenni duri, momenti di ricerca della solitudine giornaliera, la corsa come la scrittura ha dei traguardi, nell’isola di Kauai si pensa alla maratona di New York City del 6 novembre. L’esercizio quotidiano per un uomo di cinquanta anni è doveroso soprattutto per la sua salute mentale e prestanza fisica, è giusto allenarsi ogni giorno come affrontare una ora di corsa. Murakami in questo diario descrive le sue abitudini come lo sforzo di mangiare molta frutta e verdura, o fare il pisolino pomeridiano. Un’altra abitudine salutare è fare un pisolino pomeridiano. Io dormo benissimo dopo pranzo. Quando mi viene sonno mi sdraio sul divano e mi addormento seduta stante. Dopo una mezz’ora mi sveglio, il torpore è sparito, la mia mente è lucidissima. Nel sud dell’Europa questo si chiama “fare la siesta”. Mi pare di ricordare di aver preso quest’abitudine quando abitavo in Italia, ma può darsi che non sia così, che per natura fare un pisolino mi sia sempre piaciuto. Ad ogni modo se ho sonno, dovunque mi trovi, mi addormento come un sasso, una capacità di cui posso davvero rallegrarmi dal momento che mi aiuta a conservarmi in buona salute. Peccato che mi succeda anche quando dovrei stare sveglio, il che a volte mi crea qualche problema. Le confidenze di Murakami sulle confessioni dello scrittore mi hanno profondamente scossa e hanno convalidato le sensazioni che provo quando scrivo. Ogni capitolo è come il traguardo di una distanza maggiore, ogni pagina un dispendio di energia e una parte di me ad esempio in Origami. Uno scrittore è uno scrittore che corre, che allena i muscoli: i muscoli sono onesti, se li trattiamo equamente, non protestano. Ma se per alcuni giorni di fila non si fa portare loro un carico automaticamente si monteranno la testa penseranno: “oh, bene, non abbiamo più bisogno di farci il mazzo!” e non daranno più il massimo della loro potenza. […] i muscoli, come tutti gli esseri viventi, possibilmente vorrebbero vivere senza faticare troppo quindi, se non vengono caricati di un fardello, si rilassano e perdono le buone abitudini. Se quindi la qualità più importante per uno scrittore è il talento, è necessario misurare l’energia mentale in maniera efficace e pensare allo sforzo mentale in maniera professionale, è quasi necessario come avvertire nelle ore di concentrazione un certo dolore fisico. Duro allenamento è correre nella vita, come correre non da forsennati ma da maratoneti. E a volte succede che nell’esercizio della corsa della scrittura e soprattutto dello scrittore che accompagna la scrittura come letteratura, il piacere della meta accada, non della vittoria, piuttosto della meta anche in quei giorni in cui ci verrebbe voglia di maledire ogni cosa, come dice Murakami, anche in quei giorni in cui le direzioni sembrano cambiare e privarci del piacere. Io nei miei atteggiamenti seguo i consigli di Murakami, quando scrivo mi conduco sana e lucida, pronta ad un atto di mistero e concentrazione massima. Così come per il contesto della scrittura anche per la vita la meta dopo i trent’anni è restare, ed io voglio restare e correre, baciare mutamenti ottimistici, dare prova di aver raggiunto risultati coi miei sacrifici senza agenzie, senza intermediazioni, solo con la disposizione delle mie energie e forze mentali, del mio talento se così si può definire questo mio talento.
Sabatina Napolitano