
Osvaldo Pasello ha lavorato da sempre nella scuola. Prima come docente di Lettere all’ITCGS “Maddalena” di Adria (Ro) e poi come Dirigente Scolastico in vari Istituti, del I e II ciclo, della provincia di Rovigo. È stato formatore di docenti e ha collaborato per molti anni con varie testate locali e nazionali sui temi dell’istruzione e dell’educazione. Laureato in Lettere e Filosofia a Padova con Angelo Ventura, formatosi poi attraverso corsi e Master tra l’Università di Ca’ Foscari (Ve) e l’Università di Padova, ha pubblicato nel tempo diversi saggi su tematiche storiche e letterarie connesse al territorio polesano e del basso veneto. Tra questi, ha messo, insieme ad Antonio Cibotto ed altri, la sua firma all’”Antologia dei Poeti e degli scrittori rodigini del Novecento” (Minelliana) ed ha curato per Marsilio un saggio “Sulla persecuzione antiebraica”.

Link di discussione e confronto sul libro
Un viaggio nella crisi del tempo tra scienza, filosofia e poesia.
Osvaldo Pasello, nel saggio “Nel Tempo che non c’è” (Abao Aqu, 2025), intraprende un’esplorazione coraggiosa e multidisciplinare del concetto di tempo, smontando le illusioni che l’umanità ha coltivato per millenni. Attraverso 16 capitoli che spaziano dalla filosofia antica alla fisica quantistica, dalle religioni storiche alla poesia contemporanea, Pasello costruisce una riflessione sulla crisi esistenziale dell’uomo moderno: un essere sospeso tra la demolizione delle certezze religiose e l’avanzare di una scienza che ha trasformato il tempo in un enigma. Il punto di partenza è la frattura epocale provocata dalla tecno-scienza. Le religioni storiche – da quelle abramitiche all’induismo – per secoli hanno offerto risposte consolatorie sul destino umano, proiettando la meta del divenire in un “altro mondo”. Ma la rivoluzione scientifica, da Copernico a Darwin fino alla meccanica quantistica, ha sgretolato queste impalcature, lasciando l’Homo sapiens solo in un cosmo sempre più vasto e incomprensibile. Freud, citato da Pasello, inchioda le fedi a “nevrosi dell’infanzia dell’umanità”, mentre l’evoluzionismo cancella l’antropocentrismo: l’uomo non è che un ospite casuale in un universo nato dal vuoto, la cui materia è “fragile e caduca”. La fisica contemporanea completa la demolizione. Pasello attinge a Carlo Rovelli, Guido Tonelli e Sean Carroll per mostrare come la relatività e la quantistica abbiano dissolto l’idea newtoniana di tempo assoluto. Il tempo non scorre in modo uniforme (sulle Alpi corre più veloce che in pianura!), non ha un “prima” e un “dopo” assoluti, e la sua unica direzione è legata all’entropia. Per le neuroscienze (Arnaldo Benini), è una costruzione cerebrale: “una mappatura soggettiva” che crea identità attraverso la memoria. La conclusione è sconvolgente: il tempo come lo viviamo “non appartiene all’universo, ma solo alla nostra percezione umana”. In questo vuoto, l’uomo moderno affronta due crisi parallele. La prima è l’angoscia della morte, acuita dal crollo delle narrazioni ultraterrene. Pasello ripercorre le risposte della cultura occidentale: dalla solidarietà laica di Leopardi (“l’umana compagnia”) all’amore come antidoto alla finitezza (Enzo Bianchi), fino alle scorciatoie New Age e al “backup cerebrale” digitale. La seconda è l’accelerazione sociologica del capitalismo cannibale, dove la tecnica – da Prometeo liberatore – è diventata un Moloch che ci deruba del tempo. I dati Istat citati sono implacabili: gli italiani dedicano 2,5 ore al giorno ai social, la lettura crolla, e l’IA promette un futuro di “follower e user, senza scelte, solo opzioni”. Bauman e Giddens sono evocati per descrivere un’umanità “ingabbiata” in sistemi astratti che annullano i riferimenti spazio-temporali. Contro la visione lineare e finalistica dell’Occidente (ereditata dal cristianesimo), Pasello oppone la saggezza orientale: il I Ching cinese, l’induismo dei Veda, il buddismo. Qui il divenire è ciclico, armonia tra Yin e Yang, e la morte non è cesura ma reintegrazione nel Tutto. È una lezione di flessibilità che l’Occidente ha smarrito, rincorrendo l’ossessione di “addomesticare” il tempo con orologi e calendari, finendo invece per esserne divorato. La via d’uscita? Pasello la individua nella cultura e in una spiritualità laica. La poesia – da Montale a Sanguineti – diventa l’ultimo baluardo contro il frastuono digitale: le sue “storte sillabe” (Montale) danno voce al mistero del tempo, mentre Calvino, in “Ti con zero”, insegna a “abolire prima e dopo” per vivere l’intensità dell’istante. Federico Faggin è citato per un progetto ambizioso: un’alleanza tra scienza e spiritualità, dove la coscienza umana (non replicabile dai computer) diventa il faro per navigare nel caos. Ed ecco che l’opera diventa un manifesto per un nuovo umanesimo: accettare la nostra finitezza (“siamo ospiti casuali in un universo senza centro”), trasformare la consapevolezza del vuoto in libertà, e recuperare la qualità del tempo contro l’ossessione quantitativa. Pasello non offre ricette, ma indica una direzione: fare pace con il divenire, vivendo il presente senza fuggire nel passato o ansimare verso un futuro che, forse, non esiste. Come scrive nel capitolo finale: “Il tempo che abbiamo è quello che decidiamo di abitare con consapevolezza: un atto di resistenza poetica in un mondo che ha smarrito il senso del limite”. Un libro necessario, per chi cerca risposte non banali alla crisi più profonda del nostro tempo.
Luigi De Cristofaro