Giorgia Mastropasqua, “Un canto al tempo che mi assolva” (Les Flâneurs Edizioni, 2025)

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23 Ottobre 2025 | Francesco Mola

Un canto al tempo che mi assolva”. Già dal titolo della nuova raccolta poetica di Giorgia Mastropasqua, edita da Les Flâneurs Edizioni, emerge una scelta linguistica e concettuale da parte dell’autrice di grande rilievo: il verbo “assolva” al congiuntivo è una particolarità che non passa inosservata. La prima informazione utile, intanto, è che il tempo non riesca a risanare tout court. Se lo fa è perché il canto, la parola, dunque la poesia, sapranno intercedere.

Uno scarto sintattico, deviazione dalla prevedibilità che si fa possibilità. Invocazione.

Questa pare essere la chiave della raccolta di Giorgia Mastropasqua, poetessa e scrittrice, classe ‘86, finalista all’ultima edizione del Premio Internazionale Nabokov per la sezione poesia edita, che attraverso il susseguirsi di 55 liriche disegna un itinerario interiore, una preghiera laica al tempo e alla memoria. (“Il fumo che saliva alto / occhi bassi sul foglio / mi piaceva pensare / acuisse la memoria / col respiro corto / quanti caffè è lunga / una notte, un bere / nero, per riaffiorare”).

Con la brillante prefazione del poeta della Valle della Cupa salentina, il lequilese Marcello Buttazzo, la raccolta si articola in un impianto armonico da cui si diramano molteplici traiettorie sulla posis, sul valore della poesia in funzione animica che invero è da sempre tratto distintivo della poetessa pugliese. (“Poi un giorno ti sentirò ancora / anima, raccolta nei margini / di questa pelle desolata / nel petto taglierai un nodo…” “Nel paradiso poi / non evochiamo / un cosmo eterno / ma reversibile”).

Appassionata di esoterismo, eredita dal filosofo romeno, Ioan Petru Culianu, l’interesse per l’occulto, l’alchimia, il dinamismo delle stagioni e il mutamento. La sua lingua si arricchisce di termini provenienti da scienze e discipline simboliche (fisica, astrologia, chimica) e addirittura dalla metallurgia, riuscendo nonostante tutto a mantenere una sensibilità francescana per il piccolo, il semplice, il naturale, entrando in comunione persino con elementi vegetali e animali. “E quando succede / canzone o litania / è facile sentirsi / in comunione / elementare / poi scivolare / lungo il colle / a mezzogiorno / nel filo d’erba / con il gregge / dentro il becco / che recide / ma chi non sa come è raro / entrare in risonanza con la / rete che ci avvince, dove / il chiarore si disperde”.

Non mancano gli elementi identificativi dei luoghi, riferimenti sparsi al territorio salentino, dal mercato di Gallipoli ai vicoli e ai cortili assolati del leccese, che definiscono spazi non soltanto fisici ma interiori, che la Mastropasqua anela abitare aprendosi varchi di silenzio nelle baraonde pomeridiane. “A che scopo la vetta, il vigore pungente, / se non per ritornare al mercato di Gallipoli, / e potersi litigare uno scheletro calcareo / fra i turisti e gli scolari.” “Voglio visitare i vicoli indovinare l’uscio tiepido”

Ne risulta un libro elegante e raffinato, coerente nella sua struttura e nella qualità del linguaggio, dove l’immaginazione si accorda a una limpida disciplina interiore.

L’intero corpus si innesta su un’idea di ascesa e discesa, di passaggio tra vita e oltre-vita, corpo e spirito, reale e simbolico, visibile e invisibile, attorno a cui si innesta, attraverso continua tensione metafisica, la genealogia femminile: l’elemento materno come memoria, la figura bambina (presumibilmente la figlia Ginevra come deduce lo stesso Buttazzo nell’introduzione) come principio di rigenerazione. La piccola incarna la purezza e si fa portatrice di continuità e amore materno: attorno a lei si sviluppa una dimensione poetica che unisce tenerezza, memoria familiare e una tensione verso il mistero. Osservi le violette selvatiche / raccolte nel puro tempo / la liturgia della stagione / celebra il seme dell’oro / il suo mistero di chiarezza / palpita nei prati, germoglia / l’unità, commuove il cuore. / Ma lo so, per te è diverso / a condurre la tua mano / fra le corolle minime e la terra / non è la meraviglia / bambina indugi molle / compagna agli elementi / perché è rinvio la marca del tuo tempo. / Terribili promesse hai carpito alla vita / se, per timore, stenta a cominciare.”.

L’itinerario spirituale di Mastropasqua non si esaurisce in un esercizio di trasmutazione alchemica tra materia e spirito, ma si apre a una mistica dell’esperienza, in cui la voce poetica attraversa l’umano per farsi rivelazione e successivamente riconciliazione con il mondo.

Forse, allora, è proprio in questo attraversamento che trova risposta l’interrogativo iniziale: non è il tempo a redimere, ma l’esperienza della parola, la sua capacità di incarnare il mutamento e di custodirne la memoria. (“… forse, distrattamente, / arriveresti / dove risuona il canto / dell’altrove / dispensato da ogni tua / memoria / Che faresti se ogni tua parola / medicata, che hai lanciato al / largo, ti tornasse addosso?”). La poesia, in questo orizzonte, diventa gesto di restituzione, come nel dono di Celan, facendosi mezzo per rendere abitabile ciò che è stato, per trasformare la ferita in forma, il silenzio in presenza. “… son fatti di memoria / i passaggi segreti / raccontami quei giorni”.

News Reporter

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