
“Un lungo panico, in principio. E poi, tramontata subito, incredulità, e poi di nuovo paura. Adesso l’adattamento. Rassegnazione? Direi proprio accettazione. Con intervalli di proterva ilarità, e di feroce sollievo”. Questo è quanto traspare dal primo punto di vista fornito al lettore del protagonista senza nome di Dissipatio H.G.
La stesura di questo romanzo ha richiesto un procedimento di introspezione tanto tormentoso quanto necessario per il proprio autore, Guido Morselli, il quale ha tentato di dare forma al suo inquieto rapporto con la realtà circostante, rapporto portato a termine con il suicidio dello stesso, poco dopo la conclusione del romanzo.
Sull’orlo del suicidio è lo stesso protagonista del racconto, unica voce narrante all’interno di spazi di interminabile silenzio che fanno da cornice alla propria solitaria voce narrante. Questo evidente corrispettivo di Morselli scandisce e monitora il corso di una narrazione atrofizzata dal punto di vista dell’usuale scorrere degli eventi sul piano narrativo. Ciò che è dinamico, tuttavia, è il modo attraverso il quale la mente del protagonista viaggia sui binari di quella tecnica narrativa comunemente denominata stream of consciousness.
Il suicidio sembra essere per lui la sola via d’uscita da quello che, in gergo filosofico, è il suo solipsismo, condizione in virtù della quale l’io narrante necessità unicamente del proprio individuo e della sua visione delle cose, nella quale ogni altra forma di esistenza umana sembra essere d’intralcio a questa ricerca nevrotica e ossessiva. Tale condizione psichica ed esistenziale, derivante dal sentimento solipsistico dell’autore/protagonista e dal suo del suo desiderio ricorrente di plasmare il mondo attorno a sè, sembra porre le sue radici a partire dal rapporto misantropico che egli ha da sempre instaurato nei confronti di ogni elemento esterno alla propria individualità: “io sognavo una realtà come me e per me. Dove gli altri non hanno luogo, perché non ci sono”.
Il tentativo di suicidio, però, fallisce all’atto pratico, sebbene la sua realizzazione venga messa attuata attraverso una trasposizione esterna della soggettività del protagonista: egli si figura infatti come l’unico superstite in un mondo nel quale la razza umana è stata vittima di quella Dissipatio Humani Generis di cui aveva parlato il filosofo Giamblico.
Tuttavia, il tentativo di dare forma ad una realtà abitata da un’unico io pensante, dal quale dipende lo scandire del Tempo e della Storia (“L’umanità c’era, ora ci sono io. L’epilogo si incarna in me”), giunge ad esito fallimentare. Troppo a lungo i residui degli altri, degli scomparsi, hanno preso posto nel mondo, occupandone ogni superfice del suo spazio.
Non sono però legami e sentimenti affettivi a tenere in vita la loro presenza, bensì la realtà inorganica e inanimata alla quale essi erano ossessivamente legati, le piccole cose ‘care’, i loro tesori. Per tale motivo la Dissipatio non si presenta al protagonista come soluzione efficace, poiché gli echi dell’alienazione causata dalla società consumistica permangono anche all’interno di un’esistenza terrena quasi totalmente svuotata della presenza umana. La continua attenzione della voce narrante sulle cose appartenute a loro, rimarca una tematica che la Dissipatio ha ancor di più messo in evidenza: ossia quanto l’umanità, persino quando era ancora in vita, fosse stata progressivamente svuotata dei propri attributi, a vantaggio dei prodotti forniti dalla società dei consumi, i quali, seppur inanimati, appaiono come uniche forme di vita nella realtà ideale che il protagonista del romanzo si figura. Tale idealismo si cancella, tuttavia, proprio a causa della presenza morbosa di queste piccole cose ‘care’. L’umanità si riduce a ciò, ad un relitto abbandonato incapace di lasciare di sè la minima traccia, rappresentato oramai da un unico superstite, il quale da tale esistenza non si sentiva nemmeno di essere rappresentato. Il conflitto avviene anche all’interno della stessa psiche del solitario sopravvissuto, spinto da un lato verso un desiderio di estraniazione rispetto al genere umano vittima delle sue debolezze, ma dall’altro incapace di distaccarsi totalmente dalla massa che si era fatta sommergere da ciò che essa stessa credeva di poter controllare: “Fatemi morire, nel bene o nel male li devo raggiungere. Non ero diverso da loro, mi assomigliavano tutti. Ignoranza e superbia incluse”.
