In un’Italia ormai dominata dalla burocrazia disfunzionale, dovuta all’eccessiva centralizzazione, alla nostra ignoranza informatica e alla pletora di frustrati che si realizzano nel vessare il prossimo con le carte bollate, abbiamo tutti una montagna di cose da fare. Ogni tanto stilo delle liste di impegni presi e se lavorassi 24 ore al giorno per sei mesi senza aggiunta di altro probabilmente non li esaurirei. Vado perciò avanti affrontando l’emergenza e ogni tanto staccando per stare con le persone. Ciò malgrado non mi sento quasi mai indaffarato. Quasi mai quello che sto facendo è più importante del contatto umano. A volte, se sollecitato, magari rimando, ma appena sono a un punto fermo, mi dedico a chi mi ha chiesto di fare due chiacchiere. E invece, c’è in giro un mucchio di indaffarati, che se mandi loro un sms o fai uno squillo, ti rimandano come minimo di un giorno se non di una settimana. O quelli che hanno sempre qualcosa di più importante da fare. O quelli si prendono terribilmente sul serio. O quelli che citano circolari, leggi, decreti e altre grida manzoniane, senza badare minimamente al senso di quello di cui stai parlando. O quelli che trovano sempre un cavillo per bloccare il tuo progetto. O quelli che con estrema calma ti dicono certo hai ragione ma non si può fare a causa del Regio Decreto numero X dell’anno Y. Sono gli indaffarati. Una vera e propria sindrome che dovrebbe di certo rientrare nel prossimo DSM.
Autore: Davide Orlandi
L’EDUCAZIONE LIBERALE
Maggio 5, 2024 by Davide OrlandiGrande libello di Giovanni Boniolo. In poche pagine fornisce tante informazioni importanti di storia dell’educazione e una chiara disamina della attuale disinformazione. Boniolo propone come parziale soluzione la ripresa in chiave moderna dell’universalismo medioevale di un trivio rivisto, composto da logica e retorica, metodologia, probabilità e statistica. Questo trivio migliora sia le nostre capacità intellettuali che quelle morali. Bellissima lettura. Aggiungerei da qualche parte l’insegnamento di come modellare le situazioni reali con strumenti logico-matematici.
POPULISMO
Maggio 1, 2024 by Davide OrlandiQuale è stato l’impatto di internet sulla politica?
Partirei da Tangentopoli. Nel Secondo dopoguerra i Partiti in Italia hanno giocato un fondamentale ruolo di intermediazione. In quell’epoca il politico non era solo espressione di una volontà popolare, ma anche una guida intellettuale. Era, come diceva Gramsci, organico a certi interessi e movimenti. Tutto questo è finito. Sono successe tre cose importanti. È finita la Guerra Fredda e la contrapposizione fra i blocchi che in fondo aveva per decenni contribuito a tenere in piedi quella struttura: la DC guidava un certo conservatorismo per conto degli USA e il PCI guidava un riformismo per conto dell’URSS. USA e URSS sono spariti dalla politica italiana. Non solo, il popolo degli anni Novanta non era più quello quasi analfabeta degli anni Quaranta. Poco dopo è arrivata internet e i social, cosicché ora quasi tutti possono farsi un’idea – giusta o sbagliata – su qualsiasi argomento. Tangentopoli, inoltre, ha messo in luce il patto scellerato fra industria e politica. I partiti come strutture di guida e intermediazione avevano bisogno di soldi e glieli dava l’industria in cambio degli appalti in un contesto economico estremamente statalista erede del Fascismo è delle idee comuniste di collettivizzazione. Ma il popolo degli anni Novanta non voleva più essere guidato. È nato così il populismo, che ha anche la faccia buona di autonomia dei cittadini. Berlusconi lo ha capito per primo. Ed è stato il primo populista. Non più guida del popolo, ma espressione della sua pancia. E sono poi venuti tanti altri, da Grillo a Salvini fino alla Meloni. I partiti sono spariti. I politici, che prima prendevano i soldi per darli al partito, ora se li mettono in tasca. Internet e i social hanno fatto si che il dibattito politico si spostasse dalle piazze guidate dai politici alle piattaforme guidate dalla visibilità che ognuno cerca. In tutto questo c’è del buono. È inutile essere nostalgici di un passato in cui eravamo un Paese a sovranità limitata periferia di USA e URSS costituito da masse di ignoranti facilmente manovrabili. È vero che la democrazia è in crisi, ma è anche vero che la democrazia della prima repubblica aveva limiti enormi. Oggi l’organo di intermediazione della politica non può più essere il partito, ma deve essere l’istruzione. E noi, rispetto a tante altre democrazie non siamo messi così male. La nostra scuola primaria è tra le migliori del mondo. La nostra scuola secondaria è dignitosa, se la paragoniamo ad esempio a quella USA. Certo la Finlandia fa meglio è dobbiamo migliorare tanto. La nostra università non ha grandi eccellenze come quelle anglosassoni, ma ha una media, che è la cosa che conta di più dal punto di vista della cittadinanza, di tutto rispetto. È nella formazione che si gioca la partita politica del futuro, non nel ritorno all’ideologia e neanche nella società civile. Una democrazia del popolo – non dobbiamo avere paura a dirlo – cioè di tutti, si basa su una buona istruzione. E quindi oggi fondamentale una radicale riforma della paideia. Le persone vanno messe in condizione di comprendere la complessa realtà in cui vivono. La storia insegna che qualsiasi cosa che incontriamo non è un dato, ma il risultato delle azioni umane. La fisica insegna come modellare matematicamente le situazioni complesse. Per fare storia occorre conoscere la lingua italiana e per fare fisica occorre conoscere bene la matematica. Questa è la paideia di cui abbiamo bisogno per superare gli aspetti degeneri della democrazia populista.
Il ponte galleggiante – Ortiche
Aprile 26, 2024 by Davide OrlandiErano anni che desideravo accostarmi alla narrativa di Alice Munro, vincitrice di tutti i maggiori premi letterari e considerata un’autentica maestra nell’arte del racconto (forma letteraria che adoro). L’occasione buona mi si è presentata grazie a un volumetto – pubblicato qualche anno fa in supplemento al Sole 24 Ore – che contiene due racconti dell’autrice canadese: «Il ponte galleggiante» e «Ortiche». Definire «deludente» la mia prima impressione è un pietoso eufemismo. Le due storie – rigorosamente prive di trama – vivono di spunti desolati, situazioni patetiche, personaggi tristissimi e interminabili descrizioni (persino l’odore di un sandalo di plastica a contatto con i piedi sudati della protagonista ci viene descritto con indesiderata dovizia di particolari). Di cosa si parla nei due racconti? Di malattie, di scritte sui muri di persone sole e arrabbiate con la vita, di una donna che fa la chemio, di un uomo che lavora con giovani detenuti, di persone emarginate che vivono in desolanti bidonville, di un uomo che durante una manovra stira il figlioletto con la propria auto… probabilmente, se Il Sole 24 Ore avesse deciso di inserire un terzo racconto, la Munro ci avrebbe “deliziato” con le vicende di famiglie disfunzionali, nonni in carrozzina, genitori separati, figlioletti con bromidrosi plantare, cani affetti da cimurro (…) Che fare? Concedo una seconda chance a colei che Franzen ha definito «La più grande narratrice vivente del Nord America» oppure prendo atto che la narrativa di Alice Munro fa a pugni con la mia sensibilità estetica? Forse è meglio che lasci le opere della Munro all’Accademia Svedese e agli Adelphiani, e che torni a godere con le storie di Roald Dahl, King, Buzzati, Camilleri…
RASHOMON E COSÌ È SE VI PARE
Aprile 9, 2024 by Davide OrlandiHanno ragione Pirandello e Kurosawa. È proprio difficile stabilire come siano andate le cose nei fatti umani. Ognuno racconta la storia nel modo che più lo soddisfa, sia materialmente che emotivamente. Tuttavia, accettato il fatto che le storie vengono raccontate mediante un linguaggio umanamente comprensibile e quindi che sono storie per noi, resta il fatto che una versione obbiettiva dei fatti c’è sempre. È nostro difficile compito stabilire la storia vera. Essa ha valore morale, giuridico e medico. Morale, perché si capisce chi ha fatto cosa e con quali intenzioni. Giuridico, perché si individuano i crimini e i criminali. Medico, perché si comprende quale sia veramente la situazione di un paziente psichiatrico al di là di quello che raccontano lui, i suoi parenti e i suoi amici.
ANNA DAI CAPELLI ROSSI
Aprile 6, 2024 by Davide Orlandi“Anna dai capelli rossi” è un classico intramontabile, ma c’è di più di quello che sembra! Questo libro, famoso per la sua dolcezza, nasconde anche alcuni argomenti repressivi e sessisti tipici della sua epoca. Ma non preoccuparti, possiamo ancora apprezzarlo con un po’ di ironia e leggerezza!
Nel libro sono presenti alcuni argomenti che potrebbero urtare la sensibilità attuale, come ad esempio la visione tradizionale dei ruoli di genere, la discriminazione basata sull’aspetto fisico e la limitazione delle opportunità per le donne. Tuttavia, è importante considerare il contesto storico in cui è stato scritto il libro e apprezzarlo per la sua bellezza letteraria e il suo impatto culturale.
Notevoli, invece, i personaggi femminili forti e indipendenti che sfidano gli stereotipi di genere dell’epoca. Ecco alcuni esempi:
1. Anne Shirley: La protagonista stessa, Anne, è un personaggio vivace, intelligente e pieno di immaginazione. Nonostante le difficoltà che affronta nella sua vita, Anne dimostra una grande determinazione e una mente aperta. È una ragazza che cerca di realizzare i suoi sogni e di trovare il suo posto nel mondo.
2. Marilla Cuthbert: La tutrice di Anne, Marilla, è una donna forte e risoluta. È una figura materna per Anne e la guida nella sua crescita. Marilla è indipendente e gestisce la fattoria Green Gables da sola, dimostrando una grande forza e capacità di adattamento.
3. Diana Barry: L’amica intima di Anne, Diana, è un personaggio dolce e leale. Nonostante le aspettative sociali dell’epoca, Diana dimostra una grande amicizia e sostegno verso Anne. È una ragazza intelligente e determinata, che segue i suoi sogni e si impegna per raggiungere i suoi obiettivi.
LA CRISI DELLA NARRAZIONE
Aprile 2, 2024 by Davide OrlandiArriva sugli scaffali delle librerie italiane “LA CRISI DELLA NARRAZIONE. INFORMAZIONE, POLITICA E VITA QUOTIDIANA”, l’ultima riflessione, acuta e pungente, del filosofo coreano Byung-Chul Han, lucido critico del neoliberismo.
In questo ultimo saggio, edito nella collana Stile Libero Extra di Einaudi, il filosofo riflette sulla compostezza della narrazione, su come il raccontarci, il creare storie e il disegnare miti abbia caratterizzato la nostra specie umana – lo diceva anche lo storico israeliano Yuval Noah Harari in “Sapiens. Da animali a dei”, ricordate? – e su come l’approccio capitalistico abbia pregiudicato anche questa nostra capacità riducendola a mera, additiva informazione.
“Le narrazioni sono in crisi da tempo – chiarisce Byung-Chul Han tra citazioni di Walter Benjamin, Martin Heidegger e Jacques Lacan e intrusioni di Charles Baudelaire, Hanna Arendt, Immanuel Kant e Novalis -. Da bussole capaci di dare senso alla nostra esistenza collettiva sono ormai diventate una merce come tutte le altre.
Ridotte ad ancelle del capitalismo, si trasformano in storytelling e lo storytelling, ormai ubiquo, scade nella pubblicità, nel consumo di informazioni.
L’accumulo di notizie ha preso il posto delle storie.
Dati e informazioni però frammentano il tempo, ci isolano e ci bloccano in un eterno presente, vuoto e privo di punti di riferimento”.
Un intricato empasse perché “vivere è narrare – continua il filosofo a pagina 110, a chiosa del saggio -. L’essere umano, in quanto animal narrans si distingue dagli altri animali per il fatto che narrando realizza nuove forme di vita. La prassi narrativa ha la forza del nuovo inizio. Ogni azione che avvia una trasformazione del mondo presuppone una narrazione.
Lo storytelling di contro conosce solo una forma di vita, quella consumistica.
Lo storytelling racconta storie per vendere storie e per questo non è capace di tratteggiare forme di vita completamente differenti”.
“Quello che ci manca oggi – afferma Byung-Chul Han – sono proprio le narrazioni che aprono un futuro, le narrazioni che ci aprono alla speranza”.
Forse, a proposito di narrazione, qualcuno (noi?) dovrebbe metterci un punto. E iniziare un nuovo capitolo.
Caterina, la prima moglie
Marzo 28, 2024 by Davide OrlandiUn romanzo che coglie di sorpresa il lettore, adottando un punto di vista inatteso.
La storia della prima, nobilissima moglie di Enrico VIII raccontata dal suo punto di vista.
Figlia di Isabella di Castiglia e Ferdinando di Aragona, cresciuta sui campi di battaglia ed educata come eccellente studiosa nella neo conquistata città moresca di Granada, Caterina viene inviata in Inghilterra per sposare Arturo, primogenito e destinato al trono.
Tutto sembra andare per il meglio, quando Arturo muore e Caterina si ritrova sola, praticamente ostaggio del Re, in un paese in cui le donne sono considerate utili solo come oggetti di alleanza.
Assolutamente consigliato.
Apeirogon
Marzo 25, 2024 by Davide OrlandiQuesto meraviglioso libro, l’ho iniziato sull’aereo diretto verso Amman, e l’ho finito ad Aqaba, il giorno prima di rientrare.
Come dice l’autore, i lettori che conoscono la situazione politica in Israele e Palestina si accorgeranno che gli elementi propulsori al centro di questo libro, Bassam Aramin e Rami Elhanan, sono persone reali. Con “reali” intende che le loro storie e quelle delle loro figlie, Abir e Smadar, sono state documentate in filmati e articoli di giornale. La trascrizione della voce di entrambi nella parte centrale del libro (che poi sarà l’unica parte che riporterò su questo post) è tratta da una serie di interviste realizzate a Gerusalemme, New York, Gerico e Beit Jala; in altre parti del libro i due protagonisti hanno permesso all’autore di modellare e rimodellare le loro parole e il loro mondo. Nonostante queste libertà, é rimasto assolutamente fedele alla verità della loro esperienza.
Faccio fatica a fare una recensione che valga questo libro, poiché ha un numero infinito di sfumature esattamente infiniti sono i lati della figura geometrica che riporta come titolo, ma alla luce di quello che sta succedendo dal 7 ottobre ad oggi, alla luce dell’elefante nella stanza che molti si rifiutano di vedere, riporto il pezzo centrale di Rami, il padre israeliano:
“ per quanto sembri strano, in Israele non sappiamo cosa sia davvero l’Occupazione. Sediamo nei caffè e ci divertiamo, e non dobbiamo farci i conti. Non abbiamo la minima idea di cosa significa dover superare un checkpoint ogni giorno. O vedere confiscata la terra della nostra famiglia. O svegliarci con un fucile puntato sulla faccia, abbiamo due ordini di leggi, due ordini di strade, due ordini di valori. Alla maggior parte degli israeliani questo sembra impossibile, una bizzarra distorsione della realtà, ma non è così. È che noi semplicemente non lo sappiamo. Per noi la vita è bella. Il capuccino è buono. La spiaggia è libera. L’aeroporto è lì a due passi. Non abbiamo alcun accesso all’effetto che fa vivere in Cisgiordania o a Gaza. Nessuno ne parla. Non ti è permesso mettere piede a Betlemme, a meno che tu non sia un soldato. Guidiamo lungo le nostre strade percorribili solo dagli israeliani. Scansiamo i villaggi arabi. Costruiamo strade sopra e sotto di loro, ma solo per farne gente senza volto.
La verità è che non può esserci occupazione che sia compassionevole. Non esiste proprio. È impossibile. Ha a che fare col controllo. Forse dobbiamo aspettare che il prezzo per la pace si alzi a un punto tale che la gente comincerà a capire. Forse finirà solo quando questo prezzo supererà i vantaggi. Costo economico. Mancanza di lavoro. Notti insonni. Senso di vergogna. Magari perfino la morte. Che è il prezzo che ho pagato io. Questa non è istigazione alla violenza. La violenza è fiacca. L’odio è fiacco. Ma oggi c’è una parte, quella dei palestinesi, che è stata gettata completamente a lato della strada. Non hanno alcun potere. Quello che fanno è scatenato dalla rabbia e frustrazione e umiliazione. Gli è stata presa la terra. La vogliono indietro. E questa apre a tutta una serie di domande.
LAPVONA
Marzo 20, 2024 by Davide OrlandiLapvona, ovvero una storia di formazione sbagliata, grottesca, disturbante e deliziosamente simbolica.
Ambientata durante un’epoca astrattamente medievale in un villaggio fanatico, corrotto, turpe, su cui piombano la carestia e la siccità, causate o dalla collera di Dio o da un signore perverso e infantile. Ci sono tanti animali – e c’è chi parla con loro -, ci sono tanti agnelli nello specifico, un protagonista insopportabile, c’è la pestilenza e quindi i morti e i sopravvissuti che smettono quasi di essere umani e diventano demoni, cannibali. Ci sono appunto i simboli, c’è chi non parla, chi non vede.
Non è una lettura che consiglierei a scatola chiusa ma inaspettatamente mi ha tenuto incollato e mi ha lasciato addosso la sensazione di aver scoperto qualcosa ma, come i misteri della religione, non averne colto appieno il senso.
Le parti che ho sottolineato esulano o quasi dai dettagli morbosi e grotteschi, ma gli occhi sul piattino mi hanno rimandato eco di Santa Lucia, che come tutte le martiri e i santi fa paura perché si mostra straziata, sofferente, proprio come fa questo libro.