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Non so voi, ma io da bambina ho sempre disegnato e ho sempre visto disegnare dai miei compagni libri aperti: volumi con le pagine ben definite alla base e con delle linee tremolanti che imitavano la scrittura su quelle due pagine di facciata ben aperte.
Recentemente ho insegnato inglese presso un summer camp in un villaggio, avevo attorno a me bambini e ragazzi dai 7 ai 15 anni, ho chiesto loro di disegnare un libro. Sono rimasta stupita del risultato: solo uno aveva fatto un libro con le pagine aperte, gli altri avevano disegnato solo la copertina senza neanche accennare a un minimo di volume, per cui ciò che si vedeva erano solo rettangoli e spesso vuoti, senza parole o linee tremolanti per imitare un titolo o un disegno.
Il ragazzo che ha disegnato il libro aperto era l’unico che leggeva, l’unico che all’uscita di gruppo si era fermato in libreria. Gli altri? Una ragazza invece di disegnare un libro ha scritto semplicemente (e in italiano) “la Bibbia”. Certo, la Bibbia è “un” libro, ma non mi risulta sia il solo.
La vista dei libri chiusi mi ha smosso qualcosa, mi ha fatto ragionare sul cambiamento della società e mi ha dato la definitiva botta sulla testa che mi ha fatto rendere conto definitivamente che non è un caso se loro sono generazione Z e io Y.
Sono sicura che quei libri a forma di rettangolo e vuoti non volessero imitare il Kindle. Il nostro immaginario sa cosa è un libro, il libro nella sua forma classica lo vediamo ovunque, quello che disegnavano i ragazzi non era un tablet, ma un libro chiuso, inaccessibile, illeggibile, respingente, spaventevole, vuoto, privo di titolo perché sono in apparenza tutti uguali, tutti difficili.
Non credo di esagerare nell’immaginarmi il libro come uno strumento di tortura per i più giovani. Nell’epoca delle immagini la scrittura è desueta (a meno che non sia un commento o una didascalia che descrive l’ennesimo selfie su Instagram). Nell’epoca dell’immagine non occorre la lettura, il libro è solo una copertina, ovvero è solo ciò che si vede dall’esterno, ed è vuota, impersonale come molti giovani che cercano di assomigliarsi l’uno con l’altro, che copiano aforismi e frasi fatte da Google cercando di arricchire il profilo social. So che non è colpa loro, i giovani crescono nel mondo che hanno e si adattano al mondo.
Il libro non ha più niente da raccontare, è chiuso, è vuoto, è diventato uno specchio e solo in questo modo può esserci utile, riflettendo la società delle immagini in cui viviamo.
Mi viene in mente “La storia infinita” di Michael Ende: se i ragazzi sapessero che si può entrare dentro i libri e essere parte della storia probabilmente disegnerebbero libri aperti con linee tremolanti per imitare la scrittura.

News Reporter
Ho un dottorato in letteratura portoghese ottenuto presso l'Università di Coimbra, attualmente sono iscritta al corso di laurea magistrale in Italianistica e storia europea presso l'Università degli studi di Perugia. Sono una secchiona e mi piace leggere e talvolta anche scrivere.

3 thoughts on “Il libro chiuso

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