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“La neolingua della politica” è un libricino edito da Garzanti nel 2021 che contiene due saggi di George Orwell: “La politica e la lingua inglese” e il celeberrimo “I principi della neolingua”. Nella prefazione di Massimo Birattari si legge che la neolingua è paragonabile a quella che Italo Calvino chiamava antilingua. Caratteristiche della neolingua e dell’antilingua sono la povertà di vocabolario, costruzioni standardizzate che rendono il linguaggio piatto e sciatto.
Oggigiorno un tema importante del linguaggio è la sua inclusività, il politically correct non basta più, non basta più chiamare lo “spazzino” “operatore ecologico” adesso si vuole chiamare l’operatore ecologico “l’operat*”.
Dico per scherzo, ma anche no: non ho mai sentito nessuno pronunciare “operat*” ma ho sentito “tutt*” e “amic*” per esempio.
Esattamente come succede per la neolingua la nostra lingua “inclusiva” rischia di far diventare il nostro linguaggio sciatto e piatto. C’è chi afferma che al posto dell’asterisco, o meglio dello schwa, si possano trovare delle parafrasi adeguate al contesto, per esempio: invece di chiedere “è tuo fratello?” potremmo dire “siete consanguinei?”, sempre che il termine “consanguinei” sia accettato, in inglese si direbbe semplicemente “siblings” che equivale a dire fratelli e sorelle, ma l’inglese non ha genere, noi con l’italiano fatichiamo un po’ di più…
Quindi “consanguin*”? No, forse si potrebbe dire “è stato generato dalle stesse persone (fortunatamente sul termine “persone” non c’è problema, a meno che uno non si reputi un topo, ma non mi voglio spingere troppo in là) che hanno generato te?”. Ecco!
Nel caso della parola “fratello” il problema si faceva più complesso, perché fratello già include il maschile nella radice e non solo nella desinenza, l’equivalente vale per “sorella” o per “madre” e “padre”. Si potrebbe adottare la parafrasi “avete genitore 1 e genitore 2 in comune?”, ma comunque la parola “genitore” è maschile, il femminile è “genitrice”, e dunque non inclusiva, si dovrebbe usare “genitor*”. Allora verrebbe “avete genitor* 1 e genitor* 2 in comune?”
Syme, il personaggio che in 1984 si occupa del dizionario della neolingua, sarebbe fierissimo di questo mutamento linguistico.
Adottare gli asterischi è sicuramente più facile che andare a fare parafrasi complesse, me ne rendo conto. Ma se c’è l’asterisco c’è una perdita di un morfema, ovvero di quella piccola parte di parola dotata di significato: plurale e/o “maschile”/”femminile”. Il problema di quel morfema è esattamente questo: porta con se un significato di genere che viene sessualizzato, ma la “i” tipica del plurale maschile o la “a” tipica del singolare femminile non sono dotate di sesso. Le desinenze che la neolingua dell’inclusione sta cercando di eliminare sarebbero state eliminate comunque se invece di essere chiamate “maschili” o “femminili” fossero chiamate “Totò” e “Peppino”?
Il genere morfologico è nato per caso, non per ragioni sessiste.
Capisco la volontà e la giustezza di essere inclusivi, ma siamo sicuri che questa sia la strada?
L’essere inclusivi ci vuol portare ad appiattire la lingua. Prendiamo l’esempio della parola inglese “siblings”: una parola che, già esistente nel vocabolario, sostituirà due parole “brothers” e “sisters”. La perdita c’è, è inevitabile.
La lingua non è sessista, di per sé, siamo noi che la vediamo tale. Non ci vedo nulla di male in usare la parola “fratello” o “sorella” o “tutti” invece di “tutt*”. Anche perché quella “i” che con forza vogliamo eliminare non indica il maschio dominante, ma un gruppo di maschi, femmine, asessuati, trans ecc… la “i” non ha colpa, se vediamo del male in una “i” è perché il nostro cervello ragiona in maniera sessista.

News Reporter
Ho un dottorato in letteratura portoghese ottenuto presso l'Università di Coimbra, attualmente sono iscritta al corso di laurea magistrale in Italianistica e storia europea presso l'Università degli studi di Perugia. Sono una secchiona e mi piace leggere e talvolta anche scrivere.

2 thoughts on “La neolingua dell’inclusione

  1. Sono d’accordo con la tua analisi.Sottolineo ,inoltre ,che alla povertà di linguaggio corrisponde anche una diminuzione dell’articolazione del pensiero.Io lo riscontro spessissimo col mio lavoro di insegnante.

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