Befane e befanate in prosa e poesia. Il saggio di Carla Sodini e i testi in Toscana nei secoli XVI-XX

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Carla Sodini, docente dell’Università di Firenze, ricostruisce, attraverso i testi originali la storia delle befanate in Toscana negli ultimi quattro secoli. Il saggio è un studio, introdotto da Alessandro Bedini, che raccoglie usi popolari, manifestazioni folkloriche, studi scientifici a partire dalla “Befanata” di Galileo Galilei. Il saggio dal titolo “Befane e befanate in prosa e poesia. Testi originali nella Toscana dei secoli XVI-XX” (Tralerighe libri editore, pagine 176, euro 16,00, ISBN 9788832872538; è acquistabile cliccando qui https://www.tralerighelibri.com/product-page/befane-e-befanate-in-prosa-e-in-poesia

L’incipit del primo capitolo:

La Befana in Toscana attraverso quattro secoli

Carla Sodini

            Mentre Babbo Natale, quello americano, ha ormai conquistato il cuore, le attese e la fantasia dei bambini, la Befana ha perso progressivamente il suo incanto e, spesso, viene celebrata come un’appendice di doni aggiuntivi ai più piccoli al termine di un lungo periodo di feste. Sul piano antropologico-culturale, invece, la situazione si inverte, almeno nel contesto italiano. La Vecchia Signora è stata, infatti, negli ultimi secoli, oggetto di studi e ricerche importanti volti a investigare le sue antichissime origini, le dimensioni geografiche extranazionali della sua presenza e la varietà infinita di tradizioni locali che la distinguono. A questi si aggiungono i numerosi libri destinati a rinverdire le gesta della Vecchia Signora e le pubblicazioni per l’infanzia che offrono un’immagine più moderna e attuale della Befana, adattandola ai gusti estetici contemporanei.

Nell’ambito delle ricerche di maggiore complessità, dopo gli studi di Franco Cardini[1] e di Carlo Ginzburg[2] si ricordano quelli di Claudia e Luigi Manciocco e il loro ultimo libro, Viaggio intorno al mondo magico della Befana che ripercorre le dimensioni globali del suo mito plurisecolare.[3] Il lavoro, invece, di Steve Siporin, The Befana is Returning. The Story of a Tuscan Festival,[4] prende in esame le feste tradizionali toscane legate al 6 gennaio attraverso una ricca documentazione orale e i tanti studi sull’argomento prodotti soprattutto da antropologi e pubblicisti: dalla raccolta di Knisella Farsetti[5] agli studi di Roberto Ferretti relativi al territorio grossetano e a cui Siporin rende omaggio nelle ultime pagine del libro.[6]

Questa antologia segue un criterio diverso. Comprende alcune fonti importanti, più o meno conosciute, alla base del dibattito storico-sociologico e antropologico sulla natura ambivalente (pagana e cristiana), sulle origini e sulle tradizioni locali legate alla Befana. Contiene poesie e scritti di alcuni studiosi toscani lungo un arco di tempo che, dalla fine del ‘500 giunge agli inizi del ‘900. Alcuni di questi autori, come Galileo Galilei, sono molto noti; altri meno conosciuti. Nell’insieme, i loro lavori, riflettono la lenta trasformazione di una festa di origine “pagana” in una ricorrenza nata e sviluppatasi all’interno del mondo cristiano e cattolico. Festa profana e sacra assieme, piena di contraddizioni e di diversità legate a luoghi, mentalità e tradizioni diverse ma, comunque, sempre attraversata da quel respiro di mistero legato all’arcano delle sue origini.

La raccolta si apre con una Befanata inedita di Galileo Galilei. Antonio Favaro, il primo a darla alle stampe in occasione delle nozze lvancich-Biagini (si sposava Elina, la figlia di un suo caro amico), affermava di aver tenuto in serbo queste righe letterarie di Galileo “da molto tempo” dopo averle rinvenute tra i manoscritti galileiani della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. Sosteneva inoltre che il “sonetto” era stato scritto tra il 1590 e il l592 a Pisa dove Galileo insegnò dal 1589 al 1592 come Lettore. Inoltre «Menzionandosi nella Befanata Monsignor Capponi, siccome questi fu Provveditore dello Studio di Pisa dal 1587 al 1603, non v’ha dubbio alcuno che questa poesia fu da Galileo composta in occasione dell’Epifania del 1590, o del 1591, o del 1592».

Nello stesso anno dell’edizione di Antonio Favaro, il testo galileiano sulla Befana fu pubblicato anche da Adolfo Mabellini nel volume Poesie giocose inedite. Pietro Fanfani, nel saggio iniziale di questa raccolta, scriveva che la Befanata di Galileo era pressoché ignota a tutti gli studiosi del grande uomo, tranne che a Pierre Antoine Crevenna che lo citava nel suo Catalogue raisonné de la collection de livres.[7] L’anno precedente il Fanfani aveva accennato a questo componimento giocoso nelle Letture di famiglia.

Nella versione dell’antologia curata da Adolfo Mabellini, all’edizione tradizionale del Favaro e del Crevenna, venne aggiunta una parte inedita tratta dal “Codice Riccardiano” 2898” che presentava, comunque diverse lacune.[8] Quattro anni dopo, nel 1888, Antonio Favaro ricordava fra gli Scritti e documenti galileiani editi la Befanata di Galilei aggiungendo che il Crevenna aveva dichiarato di averla trovata manoscritta in un’appendice alla lettera indirizzata dallo scienziato a Cristina di Lorena.

La Befanata si risolve in una composizione di scarso valore poetico ma che, assieme ad un’altra operetta Contro il portare la toga, ambedue scritte fra il 1589 e il 1592, mostrano un Galileo inedito molto aggressivo e mordace anche dal punto di vista linguistico, segno evidente del suo disagio nel doversi confrontare con i colleghi e, più in generale, con un corpo docente tradizionalista e attaccato ai propri privilegi. Sicuramente le prime scoperte legate all’isocronismo dei pendoli e la sua attività didattica gli avevano procurato gelosie professionali che il declino della benevolenza di don Giovanni dei Medici – irato con Galileo per avere espresso un parere negativo nei confronti di un suo congegno per dragare la darsena di Livorno – avevano forse favorito.[9] Oppresso da tante difficoltà professionali e personali, Galileo si scagliava contro i colleghi i quali, in un modo o in un altro, favorivano le questue degli studenti la sera precedente alla Befana per poi concludere la serata, a notte fonda, con una grande abbuffata grazie ai doni alimentari elargiti proprio dagli insegnanti. Siamo quindi di fronte al quadro di una festa goliardica, priva di qualsiasi connotato religioso (la Befana coincideva con l’inizio del carnevale), forte di tradizioni che gli stessi professori, per certi aspetti, contribuivano ad alimentare.

Dopo il tramonto del 5 gennaio, infatti, gli studenti dell’Ateneo pisano andavano in giro per la città mascherati per fermarsi a cantare agli angoli delle strade o nei luoghi più affollati. Per le loro esibizioni esigevano cibo e vino che poi consumavano in un grande banchetto al termine della loro lunga peregrinazione. Poiché in quelle ore gelide della notte, tutto era permesso, niente rendeva quei giovani più felici di una bella sosta canora sotto le finestre dei loro insegnanti che naturalmente un po’ divertiti un po’ timorosi che i giovani andassero troppo oltre negli scherzi, si affrettavano a soddisfare alle loro richieste.

Galileo non se la prendeva con gli studenti ma con i propri colleghi legati al passato, all’uso aulico della toga, intenti più a compiacere sé stessi che a insegnare agli allievi. Gente a cui l’impaccio dei “panni lunghi” non recava disagio tanto era lento il loro passo. La festa della Befana, con i suoi canti studenteschi sotto le finestre delle case dei docenti, con gli schiamazzi e le grida fino a notte fonda, diveniva per Galilei un’occasione particolarmente significativa per rinvigorire il suo disprezzo nei confronti dei colleghi aristotelici e dunque invidiosi dei suoi studi e delle sue prime scoperte; talvolta patetici. Il giovane professore mostrava, invece, di conoscere bene i suoi studenti, uno per uno. Li descriveva con pochi tratti, con tanto di nomi e cognomi, sottolineando i loro pregi e difetti. Alcuni di questi goliardi divennero, a loro volta, professori dell’ateneo pisano come Niccolò Ansaldi da San Miniato e Cipriano Masi, ambedue nominati, più tardi, Lettori di logica. Ma c’era anche quel Carlin Bardi che fece poi tanta fortuna presso la corte medicea divenendo uno fra i più fidati cavalieri al servizio di Cosimo II. Galilei lo definiva “tristo trafuriel”.

Inizialmente i critici letterari e gli studiosi delle opere di Galileo Galilei, avevano espresso qualche dubbio sull’attribuzione allo scienziato di questa poesia giocosa e superficiale fermo restando che la Toscana era sempre stata la culla e la fucina di questo genere letterario. Nunzio Vaccalluzzo, già nel 1896 volle sgombrare questi timori affermando che la Befanata era sicuramente opera dello scienziato,

lo stile, la lingua, l’umor poetico, l’argomento, son propri di Galileo, ed è evidente l’affinità di questo componimento coll’altro in biasimo della toga, composto pur questo nella stessa città e negli anni medesimi… È scritto che fu composto a Pisa, dove il poeta fu come scolare dal 1581 al 1585, e come Lettore dal 1589 al 1592; e siccome, osserva giustamente il Favaro, in questo suo componimento inveisce contro il costume di certo tributo pagato in occasione dell’Epifania da’ professori agli studenti, è presumibile ch’egli si trovasse tra quelli che pagavano e non tra quelli che riscuotevano, vale a dire che questa poesia abbia egli composta durante l’ultima sua dimora nella città nativa.[10]


[1] F. Cardini, I giorni del sacro. Il libro delle feste, Novara, Editoriale Nuova, 1983.

[2] Carlo Ginzburg (Storia notturna. Una decifrazione del sabba, Torino, Einaudi, 1989) identificava la Befana nell’evoluzione di Perchta, una dea alpina e nordica venerata nel mondo pagano con un’infinità di nomi diversi.

[3] C. e L. Manciocco, Viaggio intorno al mondo magico della Befana. Funzioni realistiche e immaginarie di un muto plurisecolare, Roma, Avio Edizioni scientifiche, 2019.

[4] S. Siporin, The Befana is Returning. The Story of a Tuscan Festival, Madison, The University of Wisconsin Press, 2022.

[5] K. Farsetti, Le Befanate nel contado toscano, Firenze, tipografia di Salvatore Landi, 1900.

[6] Fra le tante opere di Ferretti dedicate al folklore toscano, ved. La tradizione della Befana nella Maremma di Grosseto, a cura di R. Ferretti con un’appendice di Angelo Biondi, Comune di Grosseto, Archivio delle Tradizioni Popolari della Maremma Grossetana, 1981. Ferretti fu anche l’ideatore dell’Archivio delle Tradizioni Popolari della Maremma. A questo proposito, ved. P. Nardini, Premessa alla bibliografia dell’Archivio delle Tradizioni Popolari della Maremma grossetana e degli articoli di Roberto Ferretti pubblicati nella Cronaca di Grosseto del quotidiano «La Nazione», in «Lares», vol. 73 (gennaio-aprile 2002), pp. 91-108.

[7] A. Mabellini, Poesie giocose inedite o rare e precedute da un saggio sulla poesia giocosa in Italia di Pietro Fanfani, Firenze, Tipografia Editrice del Vocabolario, 1884, pp. 159-162.

[8] Ved. ivi, pp. 61-64.

[9] A proposito delle novità negli studi introdotte dal Galilei a Pisa scrive Antonio Favaro: «tutte queste novità, che tendevano a scalzare l’autorità di Aristotele e di coloro che se ne erano eretti a propugnatori, non trovarono buona accoglienza… È quindi naturale che contro il giovane professore si sollevasse una fiera opposizione. Quell’innocente ma alquanto licenzioso capitolo in biasimo della toga, composto da Galileo durante la sua lettura di Pisa, avrà forse contribuito esso pure, non foss’altro come pretesto, a porlo in voce di uomo leggero e poco riverente alla dignità cattedratica mentre le sue idee innovatrici lo facevano qualificare ingegno presuntuoso, turbolento, temerario» (Ved. A. Favaro, Galileo Galilei e lo studio di Padova, Firenze, Le Monnier, 1882, pp. 42-43). Sempre sull’argomento ved. anche U. Baldini, Galileo Galilei, in DBI, vol. 51 (1998).

[10] N. Vaccalluzzo, Galileo letterato e poeta. Appendice. Le rime inedite di Vincenzo Galilei, Catania, Niccolò Giannotta editore, 1896, p. 8.

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