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Il saggio analizza il panorama psico-sociale seguendo le tracce che dal mito del dio Pan portano all’Attacco di Panico, sintomo ed emblema del nuovo “disagio della civiltà”. La natura selvaggia di cui Pan è l’archetipo, e che l’uomo ha smarrito nel suo percorso storico, si esprime oggi nuovamente in un terror panico che rivela la perdita dell’esperienza del sentimento panico.

L’arcaico e terrifico urlo di Pan sembra riemergere dalla polvere dei millenni nell’urlo interiore espresso da una psicopatologia essenzialmente postmoderna. Nel disincanto dell’attuale universo umano, costituito da “nonluoghi” e vissuto attraverso “nontempi”(M. Augè), l’originario sentimento panico – fonte di stupore ed estasi dei sensi – apre ad un vissuto emozionale di “immensità”, anzi, di smarrimento che è sentito intollerabile e terrorizzante. Il panico manifesta il disagio postmoderno e interpreta, attraverso modalità paradossali, la protesta contro la perdita della “natura selvaggia” dentro e fuori di noi.

E’ l’epoca del panico. Cioè l’epoca della paura del nulla. Paura non nel senso di fobia di qualcosa di specifico (ragni, serpenti, piccioni o sangue, per esempio), ma semplicemente paura di attraversare una piazza, prendere un autobus, star fermi a un semaforo, andare al supermercato, perfino oziare finalmente inattivi sul divano di casa.
Il nulla, quindi: che sia vuoto di tempo come nelle attese e nelle pause o vuoto di spazio come in autostrada. Il nulla. Non c’è oggetto fobico: l’angoscia non si ancora a un oggetto da evitare ma solo luoghi e tempi senza un oggetto dentro. O meglio senza una relazione dentro: scatole spazio-temporali vuote dove la persona non vuole entrare: piazze vuote o affollate, centri commerciali, autostrade, ascensori. Situazioni dove viene a mancare qualcosa: la relazione, appunto, con sé e con il mondo.
Il panico è recente. Anche se dagli anni Quaranta i disturbi ansiosi si sono quadruplicati il Disturbo da Attacco di Panico (DAP), distinto clinicamente dal “disturbo d’ansia generalizzato”, fa il suo esordio soltanto nel DSM IV del 1994.

L’economia capitalista è diventata un “mercato delle illusioni”, offre non solo merci ma soprattutto stili di vita, come finzioni del senso della propria individualità. Il Sé individuale, sradicato dai bisogni fondamentali, perde lo slancio del desiderio, diventa nichilista e si adegua a personalità “come-se”. Mentre gli ideali di libertà e autorealizzazione si omologano nello stile mercantilistico dell’autostima: il sembrare prende il posto dell’essere andando oltre l’ormai inflazionata aspirazione all’avere.

Allo stesso tempo il Sé sociale propone una cultura e una socialità ugualmente “come-se” in cui imperversa un falso Sé collettivo e globale che simula nell’immaginario mass-mediatico la realizzazione dei bisogni e dei desideri. La psicologia della finzione identitaria incrina e dirada la trama del naturale vissuto spazio-temporale dell’individuo: fino all’orrore del senso di vuoto, di depersonalizzazione e infine di panico.

Il disagio della civiltà postmoderna si declina in forme diverse dal passato: dai disturbi originati dal conflitto e dalla colpa si è passati a quelli prodotti dalle alterazioni e dalle carenze delle funzioni psicocorporee, delle esperienze di base del Sé e dei bisogni fondamentali. Nella prospettiva della Psicologia Funzionale possiamo considerare il panico come il riflesso dell’erosione e dell’alienazione del Sé originario e come conseguenza dell’ipertrofia, del logoramento e infine del crollo del controllo utilizzato in una continua vigilanza per far fronte alle carenze di integrazione e di continuità del Sé. E’ nel crollo del controllo che abbiamo il panico.

 

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