
Sarabanda è l’ultima opera di Ingmar Bergman. Nasce come un film, portato al Teatro Argentina di Roma per la regia di Roberto Andò.
La famosa coppia di Scene da un matrimonio (sempre di Bergman), Johan (Renato Carpentieri) e Marianna (Alvia Reale), si ritrovano dopo trent’anni. In realtà è lei che insiste per incontrare l’ex marito, sedici anni di matrimonio, il desiderio e la curiosità di sapere com’è andata la vita di Johan e di raccontare la sua, anche se Marianna è più laconica sul suo passato.
La coppia è alle prese con Heinrich (Elia Schilton), il figlio di Johan nato da un’altra relazione, e della figlia di lui, Karin (Caterina Tieghi). Vivono in una casa vicino al lago, non distante da Johan, in mezzo al bosco, nella tranquillità che avvolge le lezioni di violoncello che Heinrich impartisce a Karin.
Quando il vento soffia dal lago, le note degli strumenti musicali arrivano fino all’abitazione di Johan. Sembrerebbe il quadro perfetto di una vita senza preoccupazioni. In realtà non c’è niente di idilliaco.
Seguendo il movimento di danza che da il titolo alla pièce, riferendosi alla sarabanda della Quinta sonata per violoncello di Bach, i personaggi agiscono in scena sempre in due, appaiono e scompaiono per mezzo di quadri narrativi realizzati con una bella scenografia di pannelli scorrevoli sul palcoscenico: si aprono e si chiudono come se fossero obiettivi di una cinepresa. Un espediente narrativo ben riuscito per mettere in scena la tensione in salita tra la musica classica e un’incalzante disperazione che contagia tutti.
Karin, la giovane ragazza, è soffocata dal padre e dalla sue lezioni di violoncello. Su entrambi grava la morte di Anna, moglie e madre, andata via troppo presto. Heinrich vede nella figlia la proiezione della moglie e su di lei concentra le sue aspettative morbose.
I quattro personaggi si fanno e si disfano nello spazio dei dieci quadri della sarabanda, sfilano davanti al pubblico come in una danza lenta e severa. Marianna, suo malgrado, si trova a consolare Karin, l’aiuta a intraprendere la sua strada, a realizzare quello che la ragazza veramente vorrebbe per sé. E’ un ultimo confronto in famiglia, un confronto generazionale, dove nessuno risparmia nessuno.
Tutti hanno perso il controllo di rancori, gelosie, rimpianti, rimorsi. L’ineluttabile scontro tra genitori e figli, Johan che non ha alcuna stima di suo figlio Heinrich – gli dava fastidio persino da piccolo con il suo fare appiccicoso che Johan avrebbe ben volentieri messo a tacere con un paio di calci ben assestati, ma che si è sempre astenuto dal farlo -, Heinrich con sua figlia Karin e il suo modo di proteggerla chiudendola in una campana di vetro.
Un testo scomodo nella sua cruda onestà, raccontato non solo attraverso le parole degli attori in scena, ma anche per mezzo di semplici gesti e di silenzi, l’abbracciarsi, il prendersi per mano, il denudarsi al cospetto della vecchiaia, senza timore di mostrare i corpi cambiati dagli anni che passano.

Sarabanda
di Ingmar Bergman
traduzione Renato Zatti
regia Roberto Andò
con Renato Carpentieri, Alvia Reale, Elia Schilton, Caterina Tieghi
scene e luci Gianni Carluccio
costumi Daniela Cernigliaro
musiche Pasquale Scialò
suono Hubert Westkemper
foto Lia Pasqualino
produzione Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, Teatro Nazionale di Genova, Teatro Biondo Palermo in accordo con Arcadia & Ricono Ltd, per gentile concessione di Joseph Weinberger Limited, (agente del copyright), Londra, per conto della Ingmar Bergman Foundation
Visto per voi al Teatro Argentina di Roma il 29 maggio 2025