La mattina del 1 marzo scorso, con un gruppo di amici, abbiamo avuto il privilegio di visitare, nel corso di una apertura straordinaria, lo storico Palazzo Cocozza Montanara (Piedimonte di Casolla – Caserta). Qui, ringraziando gli splendidi ed accoglienti proprietari ed in particolare Amedeo Scalzone e Rossella Antoniello, vi propongo le brevi riflessioni di Alessia Guerriero e mie. Ricordo che in questo palazzo, nel 1971, Pierpaolo Pasolini ambientò il suo Decameron.
È stato un sontuoso palazzo, dimora di marchesi e di dame, di cavalieri, luogo d’armi e di resistenza.
Entrando in quel luogo ho visto ciò che resta dello splendore del tempo antico, i cavalieri armeggiare, i signori ordinare e i servi obbedire, ho ascoltato i canti e nel giardino respirato gli odori, i profumi , ma ho avuto anche chiaro che quello era un privilegio per pochi o forse anche dimora di principi illuminati.
Camminare in quei viali, con la natura ancora in letargo, è stato come se il passo incedesse nella storia antica. Non ne conosco le vicende storiche, ma addolora sapere che di notte qualcuno ne ha asportato le ceramiche del pavimento, portato via le porte, lasciando spazio al vento.
Quanta vita, quanta cura, quanta bellezza, quanti amori, quanti dolori, quanta fatica, forse anche quanto odio è passato da quel portone. Ora tutto è fermo, anche la natura che presto sboccerà, ma ho visto camminare tra i viali le dame di un tempo, muoversi con passi leggiadri e rimanere stupefatte da tanta bellezza e d’un tratto mi sono sentito principe che accompagna la sua dama, la sua Boccaccesca Madonna, la sua donna amata.
Il cielo colmo di nuvole nulla toglie alla bellezza dei tufi delle architetture antiche, della linearità dei filari d’arancio e immagino donna d’altri tempi, frutto maturo e anche acerbo che li attraversa, calpestando l’erba fresca e la vedo fiore tra i fiori nell’Eden e la bellezza sua tutto colora, tutto rende vivace e i roseti li vedo sbocciare lungo il suo cammino e gli alberi colorare dei colori dell’arco baleno e gli usignoli con il canto accompagnare il suo cammino.
Ora è tempo nuovo e dentro a quei filari, in quella terra sapientemente coltivata vedo l’amore per un tempo recuperato salire le maestose scale e getto uno sguardo stupefatto e bambino sulla bellezza che ci circonda.
Paolo Miggiano
Anno 1860: occupazione garibaldina, il viaggio nel tempo è tra queste mura.
Proprio qui è passata la Storia e a metterci piede si sente ancora l’eco dei passi delle migliaia di eserciti accorsi. Le mura risuonano il ritmo dei tamburi battenti che annunciano la carica e lo sfondamento della facciata. Colpi di cannone e baionette all’impazzata, siamo nel Quattrocento, quando fu eretto e il Rinascimento è ancora un miraggio sognato da chi avanzava pretese di pace.
“SPES MEA IN DOMINO EST” si legge sullo stemma gentilizio dipinto sopra la parete centrale appena varcata la soglia d’ingresso, oltre il maestoso portone fortificato in piperno.
Si approda così nel giardino d’ingresso, alla prima corte centrale col profumo di glicine e erba bagnata nelle narici nel primo giorno del mese di marzo. Lo sguardo segue il fogliame rampicante che volteggia lungo le mura di tufo fino a coprirlo quasi del tutto. L’occhio cerca riferimenti e trova il cartello recante l’indicazione del secolo di costruzione: quindicesimo secolo, precisamente, scritto in numero romano.
Cammino incantata nei lunghi viali alberati che sono melograni e aranceti, cipressi e grandi magnolie, platani, cedri, lecci e moltissime altre le specie di piante, curate da sapienti mani, e poi fontane e pozzi in pietra. La vegetazione è ferma ma i colori si offrono vividi nel cielo plumbeo che fa da sfondo. Si scoprono scorci di rara bellezza e tra questi giardini le lancette dell’orologio sembrano davvero essersi fermate ai poeti romantici, ai marchesi latifondisti delle terre sparse per tutto il Regno di Napoli che davano lavoro ai tanti poveri che nell’agricoltura rurale stentavano, coltivando canapa e ortaggi. Teatro di guerra ma anche teatro di antiche novelle ripercorse con gli occhi fini della macchina da presa di Pier Paolo Pasolini che a Palazzo Cocozza di Montanara decise di ambientarvi nel 1971 il suo Decameron e fu così che quell’antico giardino gli sembrò il luogo perfetto per ricreare le atmosfere incantate tra eros e innocenza.
Alessia Guerriero