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Evento presso Ca’ Bellini – San Patrignano, in occasione del Bruschetta Day

Quando quattro poeti decidono di scrivere partendo da un’idea iniziale, man mano imparano a pedalare insieme. Ognuno con il proprio ritmo, con il proprio fiato, con la propria musica e con il proprio sguardo. Da un’idea ne nascono mille, un finale è un insieme di possibilità, accomunate da una sincronia.

In questo caso l’alito della tradizione, un luogo, San Patrignano, l’albero di ulivo, e il suo simbolico esistere nell’immaginario dell’uomo. Lavorare insieme comporta compromessi, superamento, in parte, dell’Ego cosicché la voglia di condividere venga sentita da chi ascolta.

La poesia così diviene un progetto comunicativo che trasmette valori e permette la costruzione mentale di tanti modi di percepire un unico elemento.

Come poeti noi: Pasquale D’Alessio, Silvana Pierini, Gianni Iasimone ed io, Yuleisy Cruz Lezcano.

A distanza di più di un mese ancora possiamo dire che i ricordi delle nostre parole, colte nei volti degli ascoltatori, è più che positivo. 

Abbiamo catturato, da un terrazzo, l’attenzione di più di cento persone che prima del nostro intervento mangiavano e ballavano e poi invece si sono concentrati sull’emozione trasmessa dalle nostre parole.

Oltre al contenuto è passata l’espressione, è passata la poesia come risultato delle nostre parole, perché la poesia è qualcosa di diverso rispetto al linguaggio funzionale ed è per questo che dona dei valori assenti di forme triviali. Noi come poeti abbiamo ben compreso il mandato di catturare l’attenzione, consapevoli che la parola sia un prodotto sociale, abbiamo caricato il nostro intervento di simbolismo e contenuto, lasciando spazio alla libera interpretazione.

Dopo avere condiviso emozioni e modi diversi di interpretare un mandato, “Il silenzio degli ulivi”, vorremmo lasciare traccia di questo piccolo percorso, condividendo con i lettori i nostri interventi poetici. Prima però non possono mancare i ringraziamenti verso colui che ha organizzato questo stupendo evento, Marco Bellini, che ha messo a disposizione la sua stupenda tenuta sui colli di San Patrignano per fare sì che il cuore degli ulivi vibrasse di gioia sentendosi grande protagonista di un pomeriggio di condivisione, musica e poesia.

Yuli

Quando l’ulivo salutava gli amici

e l’orma dell’asino

rispettava i colori dei fiori

i riflessi dei tempi migliori

raccoglievano nell’ombra

i profili degli alberi.

Guardavamo insieme

il paesaggio pieno di sole

l’amore

giungeva verso gli occhi

con il viso dentro

un mantello lontano.

La mia mano e la tua mano

solenne abbraccio

sulla tovaglia di foglie di ulivi

e tra gli sguardi più declivi,

quegli alberi cantavano

fermandosi solo

nei nostri silenzi.

Le corone dei germogli

dentro la terra

spingevano sulle culle fiorite

e piccolissime margherite

sull’erba inzuppata

dalle gocce di rugiada

accarezzavano le nostre gambe.

Seduti sotto gli ulivi

di verdi sogni

con i sedili di pietra

e il camino che fumava,

lo sguardo lasciava

la porta aperta ai campi

per cogliere le cicogne

che non sono mai emigrate.

La chioma degli ulivi

colme di sole

accarezzavano i colori

di una palla che va e viene

a battere musica sull’infanzia.

Ed ecco qua

arriva dalla distanza

lo slancio di un cane verde,

di un cavallo azzurro che si perde

nel silenzio che ora cresce.

Il sacro mormorio degli acconsento,

l’albero di ulivo che più non sento,

tutto muta

sulle ginocchia dell’autunno

che nutre l’inverno.

Gira a vuoto la vita su un perno

che crede di tenerla legata

bisbigliando sulle labbra

un’unica parola.

Alcuni silenzi confluiscono dal nulla,

l’oblio dimentica la vita

e la cosa peggiore è che si può morire

dentro l’oblio.

Si può morire

nel fondo di una stanza,

nello specchio

in pochi sognano

montagne di violette

sterpaglie grigiastre, olivi sacri

che crescono

nella terra amata dai santi e dai poeti.

Alcuni silenzi crescono con gli ulivi

per contrastare la maschera di bimbo

di uomini mai cresciuti

senza silenzio.

Eppure fra le parole

si sente la noia del tempo che perdono

lasciando che l’amore

vada a loro alla testa

ricordando nell’ascia che pende dal muro

quella feroce banalità

che fa legna

dei rami degli ulivi abbattuti

lasciando le figure del campo

rannicchiate come dei vecchi che tremano

accanto al fuoco.

Nella taverna della campagna aperta

un canto di uccello

sale nell’aria

con cui precipita il giorno.

Si vede il ceppo di vita

e bolle la pentola a fiotti

con gli ultimi raggi di sole.

L’estate se ne va con il piacere che duri

e la terra di storia arida

è attraversata dalla nebbia

che forma la pioggia fina dell’autunno.

Sta piovendo sugli ulivi

e quegli alberi buoni

che giocare ci hanno visto

lanciano un battello indelebile

sullo spazio dell’anima.

Pasquale

e ti racconterei di quel che vedo, di quel che passa e ripassa davanti a me

Ti racconterei di quel che passa laggiù dove l’aria arriva da oriente

Laggiù dove l’aria arriva dalla Grecia e dalle Venezie

Laggiù io ti porterei in un luogo che si chiama Adriatico

Il nome è derivato dalla città di Adria, antichissima colonia, d’origine incerta, forse illirica, etrusca o greca

Da quelle parti ti porterei e magari potremmo fare un bagno come i bagnanti le cui voci qualche volta ascolto

Io sto qui! Da secoli sto qui! Da quando il tempo si contava con gli affanni e i respiri affannosi

Io sto qui! Ed è vero che si sente il canto di uccello che sale nell’aria con cui precipita il giorno

Hai ragione! Alcuni silenzi confluiscono dal nulla, l’oblio dimentica la vita e la cosa peggiore è che si può morire dentro l’oblio

Ed è anche vero quando racconti La chioma degli ulivi colme di sole accarezzavano i colori di una palla che va e viene a battere musica sull’infanzia Eh! L’infanzia! La mia… si è persa a ricordarmela è sempre ogni mattino il sole che sia alza dal mare e mi viene incontro e allora ricordo che anche io un giorno sono nato e sono nato qui a San Patrignano! Sono nato davanti al mare e davanti alle sue onde e davanti al suo vento che soffi di tramontana o di libeccio o soffia di maestrale e quando che soffia di libeccio qui lo chiamano garbino che è un vento strano, stanca le membra, stanca il pensiero e da qualche parte le anime dei morti si mettono a parlare fra loro e me arrivano le loro parole che sono come un eco che arriva all’anima e mette nostalgia per chi non c’è! Sono nato qui! Davanti a questo mare e non pensare che si distante, lo vedi lontano ma il mare non mai lontano! Il mare non può stare lontano: se lo vedi è sempre vicino e se lo ricordi è sempre con te. Io sono nato qui! A San Patrignano! E da qui ho imparato il cielo. Da qui ho imparato i suoi colori e la sua anima, si perchè il cielo ha la sua anima! Ma per vederla devi aspettare la notte. Devi attendere il nero. Solo allora il cielo mostra la sua anima e ti parla. Da qui sai quanti ne vedo alzare gli occhi al cielo e parlare.

Silvana

da qui… la vallata si apre, le viti puntate dai tralicci, ricamano la risalita, il sole è appeso al filo della luce, lo bevo nel respiro, gli ulivi a braccia aperte, stanno in adorazione al sole, mi unisco alla preghiera calda, la bruma sullerba, come un fiume la sfiora, il vento accarezza la mia ombra e la tua, che è dentro alla mia, le viti hanno loro fra i capelli, il riflesso del tramonto. Il cielo si è attaccato al mare, ne cancella il confine, come te, che continui a viaggiare nelle vene, clandestino, fra le ombre e il sole sei piantato nella terra, una croce, sullaltare della collina, oltre ai tetti, il mare e il cielo si dividono il blu, e unala di piccioni brilla al sole, si deposita sulle zolle, come neve.

Il sole spreme le ombre dal corpo dei tigli, fiumi segreti bagnano la terra, scivolano fra le foglie, arrivano fino alla strada come gradini di un ponte volante.

LAutunno pulsa, nellaria, le foglie riscaldano lo sguardo, sbocciano sulla strada come sardine essiccate, la luce cade come a raccogliere una sfumatura, un ricordo, segreto.

Due alberi si rincorrono, si sbracciano per toccarsi, una corda dombra li lega stretti. Il vento sfiora le cime degli ulivi, il mormorio è un cantico antico, sale nel cuore, la voglia di abbandono, di tenerezza, tenuta in borsa, in questa terra, di guerra, raccolgo i fili delle ore, le intreccio alle  parole, mi aspetto sempre, che pezzi di cielo, cadano sul nulla.

Gianni

Esposizione

Come un vecchio ulivo deportato in laguna

resisto agli attacchi della nordica salsedine

condensando l’esilio in nodi di luna.

E la bora più che lo scirocco o grecale

mi scompiglia la chioma – scarne branche

del tronco ritorto sull’ampliata statale –

come mani fra i capelli non di olio unti,

ma di nuovi pidocchi – noti sfruttatori

finto trasparenti – di catrame bisunti.

Senza più radici né nome al secolo

noto, né in piena luce su giusto pendio,

solo, in vaso, poca terra e senza scolo.

Neanche un ramarro, un piccolo sasso,

le stagioni passano e non mi adatto,

non muto, come uno strano tasso.

E ogni giorno una foglia abbandono

così esposto all’orgia dei clacson – ai fanali –

ma non è il gelido vento che non perdono.

Yuli

Sono l’ulivo!   

Oh caro ulivo!

L’infanzia, la tua e la mia

giocano ancora con il nostro corpo.

Cade il tempo di cieche lepri sulla nebbia

e gli aeroplanini bianchi che correvano

sulle mie ginocchia portano ricordi.

Le dita di mio padre, cascano le olive

e l’illuminata meraviglia

attraversa il paesaggio.

Fra gli ulivi il cielo in viaggio

ci porta in un porto infinito

fra le nuvole.

La collina è il molo,

ci trascina fra le foglie

in cerca di ombre.

Di tutta questa memoria,

vale l’illustre dono

di evocare i sogni.

Voce d’ulivo, la mano di mio padre

giunge dentro di me

ed entra in me.

La mano, a volte, in sogno

di chi semina stelle

dentro i tronchi degli alberi.

Non so se ora è il ritorno

a questo porto

con una nave più antica

ma sento nuovamente la tua voce amica

tra il mio sogno del porto

e la mia visione di questo paesaggio.

Caro ulivo,

siamo nati entrambi a San Patrignano

fra un valzer e una mazurka,

la danza delle tue foglie

nuvole di memorie

cuore della terra che conosce

la luce che apre il fuoco della frutta.

Ci siamo aperti al mondo

per rinnovare i battiti

come polvere di terra senza destino.

Ciascuno di noi

ha inseguito il proprio cammino

per ritrovarci qui adesso

fra questo dono di raggi senza nome

in questa raffica di verde senza orizzonte.

Assorto in sé

il mare di fronte

sembra il Dio dell’amore

nato dai colori.

E noi qui,

tu pensando dove mi porteresti,

io dove vorrei andare.

Forse insieme potremo imparare

questo nuovo cielo.

I sentieri sono tutti in noi.

Qualunque distanza o direzione

ci appartiene.

Qui tu sei, qui io sono

altro da te, altro da me.

Cammineremo per un tratto, lungo i ricordi.

Silvana

Nidi di foglie secche sono rimaste fra i rami, come quei ricordi, che il tempo fatica a sciogliere, una balena azzurra di nuvole spruzza dal dorso una piuma, locchio del sole, apre e chiude, il mistero del cielo.

Vento che trasporti i pensieri, vola fra questi rami, tuffati in questo cielo, con questo desiderio, che lascio alle tue mani, grandi, che sia pioggia ancora, su questa terra fredda, che ci sia ancora un canto da liberare, che ci sia ancora una promessa, da sciogliere piano, in questo foulard di fiori, una promessa gentile, che mi porti lontano sulle sue ali, non ho avuto paura di sentire il profumo del sole, e nemmeno la luna, ha saputo fermare, questo cercare, una farfalla, battere ancora, le sue mani bianche.

terra vorrei lasciarti un piccolo seme, che cresca ogni Primavera, tu hai sentito i miei passi, cercare una strada, trovarla e perderla ancora, lasciami camminare sul tuo Cuore, lascia battere questi giorni, senza fermarli. mi tengo la carezza del vento sulla pelle, il suo alito mi è caro, so che accarezza anche te, i tuoi occhi, le tue mani.

Pasquale

Io guardo le stelle

E quella che passa fra le stelle e me

E guardo. Guardo. E’ un silenzio sonoro

E’ un quasi silenzio

Porto con me la storia

E con chi potrei mai portarla la mia storia

Potrei dire a te

Mio adorato amore

A te che stai nel mare e che nel mare sei sparito

Partito con speranza e amore e disperazione

Partito che ero per mare e nel mare sono rimasto per sempre

Anche questo ho visto da qui

Passato è stato il tempo ma da qui vedono

E lèggevo quelle struggenti lettere che mi arrivavano da Sarajevo, da voci da un assedio

ma non ti preoccupare per noi, in qualche modo il nostro popolo ce la farà. In fondo a non mangiare siamo diventati più leggeri- abbiamo perso tutti 15 o 20 chili- e così possiamo correre più veloci tra le pallottole e le bombe”.

Mia cara Olga, è terribile che io ti faccia le condoglianze per la tua bambina in questo modo. Possibile che siano venuti i tempi in cui la nostra generazione seppellisce i propri figli? […] Un dolore come il tuo, dicono, è il più grande di tutti. Ecome se ti strappassero le viscere.”

E credetemi non è fantasia la guerra!

Gianni

Olea Odissea

venènn’ ‘a terra mia sulu sulu a turnà

ncopp ‘u sassón’ addó piccirigliu

‘na vòta ivu a pazzià

rént’ a ‘na ‘mmuìna ‘e puorci salavàtici

n’atu aulìvu senza tiémpu

n’terra è statu uttàt’

e llà vicinu ‘u truncón’ ‘ntramurtìtu

‘na làcrima ‘e sangh’ profumatu

comm’ a nu ggiardiniér’ agg’ truvàtu

 ‘ntagliàt’ ra nu ddiju povriégl’ cuòrpu perfiétt’

comm’  ‘e Penelope mia ‘u liétt’

ra nùvule ‘e scarrafùni scuràt’

vèsper’ palómm’ nduràt’

marcàt’ spertusàtu spreggiàt’

ra gl’altàru ‘e ràrech’ scaprettàt’

(traduzione)

venendo al mio solitario ritorno

a casa sui pendii dove bambino

una volta andavo a giocare

in un trambusto di porci selvatici

un altro ulivo senza tempo

è stato abbattuto

a terra accanto al tronco esanime

una goccia di sangue profumato

come un giardiniere ho trovato

scolpito da un povero dio corpo perfetto

come della mia Penelope il letto

da una nuvola di calabroni eclissato

vespe farfalle dorate

ferito bucato sfregiato

dal suo altare di radici slegato

la fatica ci ha fregati

in nome del progresso o

semplicemente del benessere

non del bene dell’essere

casa macchina telefonino

telecomando eccetera eccetera

ce l’hai e neanche ci pensi più

ci pensi se non ce l’hai

allora sei povero sfigato

diverso emarginato in realtà

ti sei solo salvato forse

e se fai resistenza e cerchi di ripartire

ah ripartire dalle piccole cose

ma anche questo è ormai banale

è postnextnewage è datato è superato

voglio tornare dove sono nato

dicevo mentre mi giravo e rigiravo

tra coperte d’amianto di stanze in affitto

care camere separate cancellate

su strade e vicoli sempre da aggiornare

al paesello lì saranno rimaste

le lucciole un po’ di senso

nelle mura a secco nel cancelletto di legno

che si apre sul melo selvatico sul pero

sul ciliegio dei duroni sul gelso nero

sulla siepe di biancospino

sui rovi e la rupe canina

sul nido di calabroni nel tronco bucato

del vecchio ulivo sui limoni

già a terra grandi come meloni

sul merlo che ruba l’uva già matura

sul tasso che spezza il granone

e la volpe che guaisce di sera

il cinghiale che scende nel vallone

sull’erba medica il papavero rosso

sulla luce l’ombra il sudore

il sapore l’aria fresca addosso e

gli odori dell’erba appena tagliata

del mosto del pane sfornato e

il verso del cuculo con

l’assiolo come sempre è tornato

e t’accorgi che è primavera

ma se torni e trovi i fratelli assassini

e i campi dei tuoi giochi una latrina

resti là dove non sei nato

dove gli assassini sono bravi mercanti

e le latrine profumano di lavanda

Silvana

Ulivo, puoi vedermi sono ancora qui, a bagnarmi della tua ombra, a dissetarmi della tua pace. Se tu sapessi, sbriciolare il rancore, dal mio cuore, se tu sapessi donarmi la fermezza dei pensieri, delle tue radici, ben piantate nella terra, se le mie mani fossero i tuoi rami, potrei catturare, i raggi del sole, e scaldare, le mie solitudini pallide.

di Yuleisy Cruz Lezcano

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