3° classificato per la sezione di poesia edita al Premio Nabokov 2024

Leggere Ti parlo con il pane è come ascoltare un sussurro che arriva da una stanza accanto: intimo, necessario, pieno di silenzi che parlano più delle parole. Nico Mauro scrive al padre, ma lo fa senza retorica, con una voce che trema appena, tra ricordo e assenza. Il pane del titolo non è solo simbolo: è gesto quotidiano, offerta, tentativo di comunione con chi non c’è più. Il ritmo è lento, quasi da preghiera laica: versi brevi, pause cariche, immagini che affiorano come lampi—il noce, le sedie impagliate, un fazzoletto stretto tra le dita. Tutto è concreto, eppure carico di mistero. C’è un’eco di Caproni nel modo in cui Mauro tratta la memoria: non come archivio, ma come luogo vivo, fragile, a volte illusorio (“ricordi di momenti mai incontrati”). La paternità qui è specchio e ferita. Essere figlio significa ascoltare; diventare padre, invece, è imparare a guardare indietro senza nostalgia, ma con tenerezza. Non si cerca consolazione, ma verità—anche se sfuggente. La poesia non salva, forse, ma accompagna. E in questa raccolta ogni parola sembra scritta per non lasciare solo chi legge, così come il poeta non vuole lasciare solo il padre. Basta poco: un gesto, un pane spezzato, un verso. Ma è tutto.
Silvia
