BEETHOVEN PIANISTA: Al crocevia fra tre epoche

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Ludwig Van Beethoven (1770-1827) è tra i più considerevoli pianisti e compositori di sempre.

I 250 anni della sua nascita ricorrevano nel 2020.
A 3 anni di distanza, occorre soffermarsi su ciò che è più rilevante in merito alle sue opere pianistiche: le 32 Sonate.

La 1ª e la 5ª sono propedeutiche alla “Patetica”, tra le più celebri, dalla quale emergono fattori legati al periodo classico a/da cui il pianista attinge, insieme ad un tormento che sarà rappresentativo di buona parte della sua produzione.

È altresì curioso che la sonata n. 16, da alcuni nominata “ironica”, si collochi esattamente a metà dell’opera (in tutto, 32 brani). Questo è un gesto ironico -per l’appunto, volto a prendersi beffa di una fra le tradizioni precedenti, dalla quale Beethoven mantiene le distanze in maniera “divertita”- .

Ma è altrettanto interessante come la “Tempesta”, immediatamente successiva (n. 17) mostri degli aspetti potentemente romantici: ciò si riscontra, tanto nel 1º, quanto nel 3º movimento. Nonostante la scrittura risulti classicheggiante, la Sonata restituisce molto bene, all’ascoltatore, l’immagine di una vera e propria tempesta. Presenta dei “fraseggi” che ricorrono molte volte rasentando, talvolta, la ridondanza. In questo rispetto, la transizione tra la Sonata 16 e la Sonata 17 farebbe propendere per aspetti romantici che vanno sempre più affermandosi -tanto nella produzione, quanto nella biografia beethoveniana-.
Già “durante” la “Tempesta”, emergeva, in Germania (1776), lo “Sturm und drang”, opera e manifesto, pubblicata dell’intellettuale Klinger (1752-1831).
Tale documento certificava la nascita del Romanticismo tedesco.

Ma vi è di più.

Il filosofo Kant (1724-1804) scrive la sua “Critica del giudizio”, nella quale analizza i concetti di “genio” e “bellezza”. Questi vengono trascesi dal “sublime” e, a tale punto, là dove la parola non può più esprimersi, sopravviene la musica.
Risulta evidente come musica e filosofia siano strettamente interrelate: lo saranno, in seguito, con Hegel (1770-1831), Kierkegaard (1813-1855) e Schopenhauer (1788-1860).

Riguardo alle altre Sonate, l””Appassionata” viene denominata con lo stesso ardore con cui dovrebbe essere eseguita; ad essa, sembra contrapporsi la “Waldstein”, tra le più complesse in assoluto. Quest’ultima è caratterizzata da un’atmosfera gioviale, a differenza della precedente.

Dalla presente breve analisi, emerge un Beethoven che affonda le radici nell’età dei grandi classici: tra questi, colui che lo ha maggiormente influenzato, è Mozart, con le sue 18 Sonate.
In un secondo momento, si nota più volte una frequente duplicità; soprattutto, tra le Sonate più eseguite ed ascoltate, in pubblico.

Per tale ragione, risulta alquanto arduo considerare Beethoven come appartenente “solo” al periodo più “classico”, o al “romantico”.
Questa concezione critica della musica pianistica beethoveniana viene resa ancor più ostica, per il fatto che le ultime 3 Sonate (Op. 109, 110 e 111) presentano linguaggi che vanno ben oltre lo stesso Romanticismo.
Il tutto, in buona parte, per la patologia di “ipoacusia” che porta Beethoven ad essere totalmente sordo, nell’ultima fase dei suoi capolavori.

Beethoven diviene, così, “crocevia ed espressione”  di ben tre periodi musicali (seppur eterogenei): classico, romantico e “filo novecentesco”.
Passato alla storia, senza dubbio, non solo (ma anche) per il suo impeto -passionalità e tragicità ardenti- e per la straordinaria capacità di mutare registro nell’arco di poche, brevi battute.

Riguardo alle analogie col tardo Romanticismo, in filosofia, Kierkegaard dirà che la musica di tale periodo è dissonante.
Lo stesso, in connessione con Jankélévitch (1903-1985): “La dissonanza è cifra costitutiva della modernità”.

Ecco infine come, per quanto pertenga alle Sonate di Beethoven, tutto “muova” dall’eredità mozartiana, “attraversando” il Romanticismo e “prefigurando” il linguaggio del Novecento -che pare essersi già espletato, in parte, con un secolo di anticipo-.

In tal senso, la varietà e la ricchezza dei suoi linguaggi musicali sono una vera e propria sintesi di epoche radicalmente differenti tra loro.
Per tale motivo, è indubbiamente ricco e problematico da analizzare.
Stefano Chiesa

Fonte foto: “Library of Congress”

News Reporter
Milano, 1990. Laureato magistrale e triennale in Filosofia ("Vita-Salute San Raffaele", 110/110, 2014) con un "Erasmus" di un anno presso l'Université "Paris 1/Panthéon-Sorbonne". Ho lavorato come articolista, content creator e intervistatore per "MilanoSud" (2021), "Melegnano Web TV" (2020/21) e "Aracne TV" (2020). Sono stato finalista premiato al premio "Nabokov" (dicembre 2021). Per ogni altra informazione (libri, critica musicale, conferenze tenute, riconoscimenti letterari), ecco il mio sito: "www.stefanochiesascrittore.it" Grazie :D
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