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Alessandro Maurizi, “scrittore indivisa”, con il suo ultimo romanzo Castigliego e i tormenti del Papa/Una nuova indagine in Vaticano (Fratelli Frilli Editore), è ancora una vota alle prese con una delicata inchiesta parallela ambientata oltre le mura della Città del Vaticano. 

La penna dello scrittore noir viterbese già in passato, con il suo precedente romanzo Roma e i figli del male, si era cimentata in un’avventura poliziesca oltre le mura Leonine.

Il protagonista di questa avvincente storia è sempre lo stesso commissario Manuel Castigliego della squadra mobile della capitale, un giovane di bell’aspetto, originario del Salento (madre leccese e padre dell’Andalusia), che con il suo gatto Salgado vive in un loft, tenuto in ordine dalla simpatica e a tratti severa Aida, si muove con una lussuosa automobile, una motocicletta e forse ha trovato l‘amore. 

L’elezione di un Papa, Celestino VI, un Papa buono venuto dai sobborghi di Manila, capitale delle Filippine, dove la povera gente soffre davvero, viene macchiata da un grave delitto, l’assassinio del cardinale Zaccarin e l’avvelenamento di altri quattro porporati: i cardinali Messeri, Elguetaha, Leonardo Liborio e l’arcivescovo, dal nome impronunciabile, Adayanthrath. 

Delitti avvenuti proprio nella Cappella Sistina, quando i cardinali sono riuniti in conclave e dopo che il maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie, pronunciando l’extra omnia, ha invitato i non interessati all’elezione del Papa ad uscire. Un delitto che crea un profondo turbamento in Celestino VI il quale, preso da una sorta di rimorso e di inadeguatezza rispetto agli intrighi che si sviluppano tra le mura del Vaticano, decide che il giorno di Pasqua annuncerà le proprie dimissioni, per poter tornare tra i suoi poveri nelle Filippine. Per il commissario Castigliego sarà una corsa contro il tempo per poterlo scongiurare. Ci riuscirà? 

Non sembra esserci relazione tra gli avvelenamenti dei cardinali nella Cappella Sistina e il suicidio di Leone Freitas, un giornalista squattrinato che più di in un giornale redige un foglio di notizie varie.

A volte, però, nella ricostruzione dei fatti sono proprio i dettagli che bisogna saper leggere o che perlomeno occorre provare a decifrare. 

Nella complessità del crimine, le inchieste e i casi giudiziari più complicati spesso sono svelati proprio da alcuni particolari che, all’apparenza e il più delle volte, si scartano. L’indizio, il frammento apparentemente insignificante, spesso sono segni capaci di rivelare le cose nascoste. Elementi preziosi ai fini della ricostruzione del fatto criminoso e dell’identificazione dell’autore. E questo Castigliego lo sa molto bene.

Conan Doyle fa dire a Sherlock Holmes che le cose più piccole sono di gran lunga le più importanti.

Così anche se tra l’assassinio di un cardinale ed il suicidio di un giornalista non sembra esserci nessuna relazione, Castigliego, proprio da un dettaglio, un frammento, un post-it giallo trovato sulla scrivania dell’amico giornalista con su scritto Sheol (per gli ebrei un luogo peggiore dell’inferno) ben presto si convince che quello del giornalista è un omicidio e che soprattutto ha a che fare con gli intrighi del Vaticano. 

In un mondo imperfetto, in un sistema investigativo imperfetto, giudici e investigatori a volte possono essere indotti in errore anche in buona fede. Sta di fatto che l’indagine sulla morte del giornalista viene affidata a Favino, un funzionario della questura di Roma, che senza tanti giri la liquida e la archivia come suicidio.

Castigliego cerca di convincere il suo capo, Loris Greco, ad affidare l’indagine alla squadra omicidi, ma egli convinto che quelli della squadra omicidi non sarebbero stati in grado di masticare una gomma e contemporaneamente camminare, gli chiede di continuare l’indagine, ma con discrezione. Ma quella di Castigliego è un’indagine parallela, non tanto ufficiale che presto finirà per varcare i confini della città del Vaticano, proprio su richiesta del suo amico cardinale francescano, per disbrigare il bandolo della matassa, man mano che altri omicidi si susseguono.

«Molto spesso il problema è lo squilibrio», dice l’arguto Hercule Poirot nei romanzi di Agata Christie, dove spesso si comprende che la verità è più semplice di quanto appaia. E così anche con l’aiuto del simpaticissimo Professore Segantini, un medico anatomopatologo tifoso della Roma e conoscitore degli effetti dei veleni, molto somigliante al dott. Pasquano del commissario Montalbano dei romanzi di Camilleri, e del cardinale Furiesi, il frate amico del commissario che abita al Palatino, giungerà a scoprire almeno quale fosse la matrice degli intrighi e degli avvelenamenti e gli obiettivi dei complottisti.

L’indagine, purtroppo, si imbatte in altri omicidi, come quello di un modesto magistrato sconosciuto alle cronache giudiziarie della capitale, il sostituto procuratore Ugolini, il quale viene ucciso proprio mentre sta indagando sul presunto omicidio del giornalista Leone Freitas, addosso del quale Castigliego trova lo stesso post-it giallo con la medesima scrittaSheol, circostanza questa che rafforza le intuizioni investigative di Castigliego. 

Poi ancora altri morti ammazzati come il dott. De Carolis, trovato morto in una villetta isolata del monte Cimino e di don Camargo considerato fedele segretario particolare del Papa, ucciso proprio davanti al Pontefice dal cardinale Messere

Insomma, l’inchiesta dentro e fuori le mura del Vaticano non è un’inchiesta semplice, ma l’autore trova il modo, molto accattivante, di intessere una trama, aggiungendo degli elementi attinti alla realtà quotidiana, come i conflitti sociali, gli scontri di piazza tra polizia e manifestanti e c’è spazio per una storia d’amore con Aurora che inizia male, perché che lui sia un poliziotto lo scoprirà dai giornali. Una storia sentimentale che non sappiamo come andrà a finire. Forse Castigilego ce lo dirà nel prossimo romanzo. Intanto, godiamoci questo che è davvero un bel noir, scritto da chi come Alessandro sa quel che scrive, perché sono portato a pesare che molto di quello che scrive sia anche il frutto della sua esperienza investigativa nella Polizia di Stato.

News Reporter
Un uomo controcorrente, che crede nelle persone e nell'affermazione dei diritti di libertà. Dentro ad una divisa grigio verde i fumi dei lacrimogeni, gli spari, le botte - quelle prese e quelle date - la guerriglia nelle piazze di Milano, Genova, Torino, Roma, Reggio Calabria, Aspromonte, Palermo e le gambe che gli tremano ed il cuore che batte, forte. Rammenta i compagni feriti e quelli caduti e pensa che è fortunato che non sia toccato a lui. E poi apprende che un intellettuale, Pier Paolo Pasolini, aveva parlato di lui e di quelli come lui e aveva detto che, mentre a Valle Giulia (1968 e lui era ancora un bambino) altri giovani facevano a botte con quelli come lui, egli stava - “simpatizzava” - dalla sua parte, perché i poliziotti sono figli di poveri. E capisce che può farcela, che c’è, forse, una strada, per ottenere i diritti, che ancora non ha. Ed è su questi ideali, che Paolo Miggiano ha camminato.
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