“VAN GOGH pittore colto” al MUDEC di Milano

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È in corso di svolgimento, a Milano, la mostra citata nel titolo (dal 21 settembre 2023 al 28 gennaio 2024). La maggior parte delle opere di Van Gogh esposte è custodita ad Otterlo, Paesi Bassi (Kröller-Müller Museum).

La finalità precipua della presente recensione consiste nel proporre e nel ripercorrere la vita di Van Gogh, attraverso opere non note a tutti, nella misura in cui la mostra esibisce un Van Gogh colto, per via del suo retaggio culturale. Si prediligerà una ricerca (non del tutto) cronologica: fonti e dipinti (in merito ad incontri, luoghi ed arti cruciali). Si accennerà all’interesse per il Giappone.

Occorre precisare che la pittura di Van Gogh non è ascrivibile ad alcun movimento preciso, sebbene la storia dell’arte attesti il contatto con “Impressionismo”, “Puntinismo” e “Divisionismo”, nel cosiddetto “Periodo francese”.

Nei primi anni della sua produzione (1879-1880), presso Borinage (Belgio), Van Gogh decide di diventare pittore, in seguito ad un momento di ritiro e predicazione spirituali; per poi trasferirsi a Bruxelles. Legge la Bibbia, iniziando il suo lungo percorso di intellettuale. Conosce Jean-François Millet (1814-1875), che diventerà il suo più grande maestro, in quanto i due condividono temi e soggetti rappresentati. Van Gogh ritiene gli insegnamenti di Millet ancora più elevati, per giunta, rispetto a quelli ricevuti dal padre (ciò emerge, per la prima volta, nella Lettera al fratello Theo del 16 dicembre 1883).

Tra i primi dipinti, la mostra propone la “Fine del borgo di Gruchy” (Millet, 1854), che ne illustra la città natale (Normandia), in un contesto paesaggistico collinare e marittimo. Ma il mentore francese afferma che “Il dolore è forse, quello che fa esprimere più fortemente gli artisti”: a tale amena visione, pare contrapporsi la “Veduta di un bosco” (Van Gogh, 1881), dove prevalgono tonalità cupe e tenebrose. Degli alberi vengono percossi dal vento e da un piccolo stormo di uccelli: sono queste, le atmosfere che Van Gogh predilige, nelle sue prime opere. Nelle “Radici di albero in terreno sabbioso” (1882), vi sono linee zigzaganti, nell’immortalare il soggetto, in modo scarno. Ancora, i toni sono lugubri, ma vi è anche del dinamismo (il vento può piegare i rami, ma non le solide radici). Nel periodo in cui vive a L’Aia (1882/1883), nonché nella Lettera al fratello Theo del 1° maggio 1882, il pittore definisce questo dipinto come “radici nere, contorte e nodose”. Ciò si pone in relazione alla “Donna sul letto di morte” (1883), per la cui realizzazione fa posare la sua compagna, Sien (pseudonimo di Clasina Maria Hoornik): una meretrice, con la quale ha avuto una relazione di più di un anno.

Al periodo di soggiorno presso Nuenen (1884/1885) corrisponde una focalizzazione sui “mangiatori di patate”, ascrivibile alle plurime ispirazioni mutuate da Millet: Van Gogh vive con estrema intensità la dimensione religiosa, riscontrabile nella natura, nel mondo rurale (prime pennellate) i cui contadini si nutrono, in gran parte, di patate.

Espressione di quanto appena asserito è -qualche anno prima- L’“Angelus della sera” (da Millet; 1880): la gamma cromatica varia, tra: nero, rosso, bianco e grigio-azzurro. Van Gogh usufruisce dell’originale -da parte del maestro-, disegnandone una copia. L’opera è caratterizzata dalla compresenza fra molti dei caratteri sopracitati. L’allievo renderà altri omaggi -come questo- al maestro, nel corso della sua vita: ad esempio, “I lavori dei campi”. Ulteriori rappresentazioni agresti sono: la “Testa di contadina” (1884/85) e la “Contadina che lega un fascio di spighe di grano” (1885).

Tra il 1886 e il 1888, avviene la “svolta” di Parigi, tra “Impressionismo” e “Neoimpressionismo”, durante la quale Van Gogh produce più di 40 autoritratti (diversi, illustrati nel corso della mostra). Questi ultimi presentano taluni aspetti comuni: il soggetto a tre quarti; il suo sguardo, rivolto verso lo spettatore. Così, Van Gogh riflette in merito all’importanza del ruolo dell’artista, in relazione alla pittura, alla luce di una profonda introspezione, psicologica e identitaria. Fondamentale è la frequentazione dei pittori Fernand Cormon, Paul Signac ed Henri Toulouse-Lautrec: la sua tecnica pittorica si accosta ad “Impressionismo” e “Puntinismo”. L’“Interno di un ristorante” (1887) riproduce fedelmente il soggetto, in un contesto borghese: accade una svolta decisiva, rispetto ai precedenti paesaggi (toni sommessi e ceti disagiati). In questi anni, il pittore dipinge una ventina di volte il “Moulin de la Galette” (1886), sviluppato dallo stesso impressionista Pierre-Auguste Renoir (1841-1919).

In tale periodo, diventa appassionato di stampe giapponesi, alle quali ispirerà la sua pittura, ricca di riferimenti floreali ed ornitologici: Utagawa Hiroshige, (“Il fiume Sagami”, 1797-1858), Katsukawa Shunsen (“Cortigiana in parata”, 1762-1830), Katsushika Hokusai (“Il Fuji dal mare”, 1760-1849). Rimarrà affascinato da Emile Guimet (“Promenades Japonaises. Dessins d’après nature par Félix Régamey”, 1878) e Siegfried Bing. Il primo permetterà al pittore di conoscere Félix Régamey. Il secondo è stato il più rilevante mercante francese, d’arte del mondo nipponico: Van Gogh si dedicherà al collezionismo di oltre 600 stampe. Il pittore vi ritrova una “nuova poetica”, rispetto alla quale, “si sente in armonia”: vive “nella natura”.

Terminato il periodo parigino, Van Gogh si stabilisce ad Arles, dove dipinge il “Ritratto di Joseph-Michel Ginoux” (1888). Il soggetto è un uomo in posizione obliqua, con un’espressione baldanzosa e quasi provocatoria. Come negli autoritratti, Van Gogh raffigura diversi ritratti, alla continua ricerca del miglioramento di sé. Altra opera di questo momento presso Arles, è la “Veduta di Saintes-Maries-de-la-Mer” (1888), in cui un paesaggio campagnolo presenta accostamenti tra colori che rimandano al “Divisionismo”; il paese viene rappresentato, invece, da elementi geometrizzati. Il “Frutteto circondato da cipressi” (1888) assume dei caratteri simili al quadro precedente e riprende temi floreali, presumibilmente mutuati dall’arte giapponese. Memore del contatto con Paul Gaugin, realizza “La vigna verde” (1888), manifestandogli l’entusiasmo nell’impiego di “azzurro, porpora, verde, giallo, nero ed arancione”.

Negli anni successivi (1889/1890), Van Gogh viene internato in un ospedale psichiatrico (“Saint-Paul-de-Mausole”) e, nonostante la malattia mentale, legge Shakespeare, paragonando la sua parola alla pennellata di Rembrandt. Tra gli autori da lui studiati approfonditamente, vi sono: Maupassant, Dickens e Michelet, che ha “frequentato” nell’arco della sua vita.

Dà luogo all’opera raffigurante “Pini nel giardino dell’ospedale” (1889).

A differenza di svariati pittori che sono stati resi noti esclusivamente in seguito alla loro morte, Van Gogh conosce la fama in quest’ultimo periodo, prima di suicidarsi con una pistola. Riceve un invito al “Salon des XX di Bruxelles” ed ha una comparsa sul “Mercure de France” (1890).

Da allora fino ad oggi, ha riscosso un tale interesse, da essere tenuto in considerazione in tutto il mondo e nell’àmbito della critica d’arte e di svariate discipline. La sua irrequietezza quasi ossessiva, che attraversa le sue pennellate, è uno dei fattori che lo hanno reso così celebre.

Stefano Chiesa

Immagine: “Autoritratto” / Self-Portrait, 1889, The National Gallery of Art, Washington

Photo Bridgeman Images

News Reporter
Milano, 1990. Laureato magistrale e triennale in Filosofia ("Vita-Salute San Raffaele", 110/110, 2014) con un "Erasmus" di un anno presso l'Université "Paris 1/Panthéon-Sorbonne". Ho lavorato come articolista, content creator e intervistatore per "MilanoSud" (2021), "Melegnano Web TV" (2020/21) e "Aracne TV" (2020). Sono stato finalista premiato al premio "Nabokov" (dicembre 2021). Per ogni altra informazione (libri, critica musicale, conferenze tenute, riconoscimenti letterari), ecco il mio sito: "www.stefanochiesascrittore.it" Grazie :D
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